Altro fatto saliente, che ci diede anche una pennellata
d’internazionalità fu l’“importazione dalla Francia” di un
corso di specializzazione per manager della distribuzione
beverage, che consentiva ai giovani distributori italiani
-dopo un corso di studi di 11 mesi a tempo pieno – di
ottenere dal Governo francese il titolo di dottore in
scienze della distribuzione.
Tante le vicissitudini superate da me e dalla mia assistente
Luisa Primiceri, meglio riassumerle in un elenco veloce:
procedimento all’Antitrust verso la Company della
Coca-Cola per abuso di posizione dominante, vertenza
con una Birreria Olandese per la sperequazione dei prezzi
di rivendita della birra ai locali, supporto a fini ecologici
al vuoto a rendere, collaborazione con il Ministero della
Finanze per la gestione del credito e molto altro.
IL PRESENTE
Oggi si respira un’altra aria in tutti i settori. La crisi che
attanaglia il globo ha posto in primo piano l’esigenza di
fare profitto comunque. Lo spazio per uno stile raffinato
di lavoro si è ridotto al minimo come pure la qualità
personali di chi gestisce enti o gruppi commerciali.
Purtroppo stenta a cambiare il popolo della distribuzione.
Organizzato in consorzi, alcuni dei quali poco utili
e costosi centri di potere, il grossista si affanna per
sopravvivere secondo il vecchio stile: imbrigliato dal
fornitore e succube del cliente. Spesso considerato come
una persona che “guadagna”, forse che specula. Invece
dovrebbe impegnarsi a lavorare anche per il territorio;
promuovere i prodotti locali; partecipare alle attività
sociali; creare un legame attivo con le autorità comunali
e provinciali. Nel nostro Paese per fortuna esistono
aziende di distribuzione di alto profilo, organizzate in
maniera esemplare e molto apprezzate dal fornitore e dal
cliente. Sono però la minoranza. La maggior soddisfazione
ottenuta dal mio lavoro è quella di aver raccolto sotto
lo stemma Italgrob qualcosa come 900 aziende di
distribuzione e di aver costruito per loro un punto di
riferimento in Italia e in Europa. Non ho rimpianti di cui
dolermi”. Così è la vita. Almeno per me.
DISTRIBUZIONE
ParlarediConsorziportainevitabilmenteaItalgrob…
Già, siamo nel 1992: è allora che vede la luce l’as-
sociazione di categoria, nata come “sindacato” per
portare avanti le rivendicazioni e le esigenze dei tanti
grossisti e dei vari consorzi.
Con successo?
Inferioreaquello sperato. Specialmentea causadello
spiccato individualismo di un settore in cui ciascun
operatore è strettamente vincolato al proprio terri-
torio e opera all’interno di un raggio d’azione che
non supera i 40 Km.
Continuiamo il nostro viaggio nel tempo, quando
arriva il secondo momento clou?
A metà degli anni ‘90, ecco il secondo giro di boa,
siamo negli anni in cui l’industria birraria avvia un
sistematicoprocessodi acquisizionenelmondodella
distribuzione. È l’esordiodelle integrate, aziende forti
e strutturate e con maggior massa critica, viste dai
produttori come interlocutori più credibili.
Insomma, c’era da aver paura…
Senza dubbio: in quegli anni noi grossisti comin-
ciammo seriamente a chiederci se fosse arrivata la
nostra fine. Si paventavano scenari apocalittici in cui
le integrate si sarebbero accaparrate tra il 50 e il
60% delle vendite, lasciandoci solo le briciole. Di
fatto poi la soglia si mantenne molto più bassa (30%
circa), ma agli inizi si temette seriamente per il nostro
futuro. E in questo scenario anche i Consorzi, nati
per fornire soluzioni di carattere asso-
ciativo, smisero di essere visti come
un baluardo difensivo, quasi il loro
ruolo si fosse del tutto svuotato.
Ha accennatoa tremomenti to-
pici chehanno scandito l’ultimo
trentennio. Qual è il terzo?
Nessun dubbio: la diretta di Co-
ca-Cola, chebypassando il ruolodel
distributore, mirava a instaurare
un rapporto
direttocon
il cliente-
esercente.
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Mixer
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SPECIALE 30ANNI
LUCIO RONCORONI,
DIRETTORE
DEL CONSORZIO CDA