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Mixer
/ MARZO 2018
Il Sommelier
UN VINO BIANCO PIEMONTESE CHE ARRIVA
DAL PASSATO, LA PRIMA TESTIMONIANZA
SCRITTA RISALE AL 972 D.C., MA ARRIVA
ANCORA PIÙ LONTANO IN VIRTÙ DI UNA
GRANDE CAPACITÀ DI EVOLUZIONE IN BOTTIGLIA
Romagnolo verace,
Luca Gardini
inizia giovanissimo la sua
carriera, divenendo Sommelier
Professionista nel 2003 a soli 22
anni, per poi essere incoronato,
già l’anno successivo, miglior
Sommelier d’Italia e – nel 2010 –
Miglior Sommelier del mondo.
I
cliché del vino sono duri a morire: dal rosso solo con la
carne, al vino bianco bevuto freddo e giovane. Il nostro
paese è invece pieno di vini bianchi, specie quelli da uve
autoctone, che sanno esprimersi in maniera personale,
e quindi riconoscibile, oltre a vantare una grande capacità
d’invecchiamento. Tengono bene il tempo, e non parlo di
ritmo, diversi bianchi del sud, penso a quelli dell’Etna o a
quelli campani, ma anche per molti ‘sorsi pallidi’ del nord le
‘rughe gustative’, caratterizzate da precoci evoluzioni, sono
un falso problema. Proprio per questa abbondanza, incre-
mentatanumericamentedaattenzioni e tecnologie incantina
in grado di allungare la vita post imbottigliamento anche a
varietà che non avevano questa longevità nel proprio DNA,
ci si è un po’ dimenticati di quel vino bianco piemontese che
si chiama Gavi.
UNA DOCG DA ANNO MILLE
Il fatto chemolti –sbagliando- considerasseropoi il Piemonte
come una regione da red passion, non ha di certo aiutato il
Cortese: uva bianca con cui si produce il Gavi. Dicono che
per ricordare meglio qualcosa si possano utilizzare le analo-
gie. Detto fatto, visto che la zona di produzione di questo
vino è composta da ben 11 comuni come quelli che carat-
terizzano, sempre in Piemonte, l’area da cui nasce il Barolo.
Il parallelismo non viene meno anche rispetto alla qualità,
tutelata, per il Gavi, con una Docg che risale agli anni ’90,
anche se la sua fama ha una datazione addirittura anteriore.
di Luca Gardini
LA PROFESSIONE
Bisogna andare indietro sin nel 972, anno a cui risale la prima
testimonianza scritta relativa ad un atto di affitto da parte
del vescovo di Genova a due gaviesi, in relazione ad alcuni
vigneti in località Meirana; ancor’oggi uno dei terroir più vo-
cati. Senza scomodare la leggenda della principessa Gavia
che pare abbia dato il nome a vino e cittadina omonima, la
storia del Gavi procede spedita nel tempo, ma anche nello
spazio, come dimostra il fatto che il marchese Andrea Doria
volesse esportare questo vino in America sul finire del ‘700,
mentre 100 anni dopo Giacomo Traverso lo fece conoscere
agli Argentini, ai Tedeschi e a tante altre nazioni.
VOCAZIONE ALL’EXPORT
Questa sua tendenzaadandare lontano– inquestocasoparlo
di distanza–èparte integrantedell’attualitàdelGavi. Lodimo-
stra il fattoche circa l’80%dellaproduzione totale, siamooltre
i 13 milioni di bottiglie, vada all’estero. Personalmente credo
sia una cosa molto buona per il vino e anche per il suo terri-
torio di produzione, che la diffusione internazionale avvenga
tramite un vitigno autoctono e le sue tipologie espressive (il
Gavi puòessere: fermo, frizzante, spumante, riservaemetodo
classico riserva). D’altro canto mi spiace che il Gavi non riesca
ad essere ‘forte’ nel proprio paese, anche perché immagino
che possa risultare strano per uno straniero chemagari a casa
propria apprezzi e consumi il Gavi, non ritrovarselo, una volta
arrivato in Italia per lavoro o per svago, nelle carte dei risto-
ranti. Un peccato specie se pensiamo che un’ulteriore dote
del vino a base di uva Cortese sia proprio la grande agilità
in fatto di abbinamento. Non parlo solo di quella versatilità
che si deve alle diverse tipologie (fermo, spumante...), ma
anche in rapporto, come detto, alle sue naturali capacità di
evolvere inbottiglia.Unvinoche rimanendosempreelegante,
sapido e agrumato regge il pescato più delicato, così come
con alcuni – anzi no con numerosi – anni spesi a maturare in
bottiglia, sia in grado di reggere anche un ingrediente
dal gusto molto pronunciato come il tartufo bianco.
Cortesemente
Gavi