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2 Mixer / GIUGNO 2018 IL PUNTO del presidente FIPE Lino Enrico Stoppani L a questione educativa è uno dei temi più difficili, eppure più pervasivi della società e del suo futuro. Il “bullismo” giovanile è uno dei tanti sconsolanti esempi, che vede protagonisti ragazzini aggressivi, sfacciati e insofferenti, insegnantidisarmatierassegnati,famigliedistratteeindifferenti, oggetto di discussione, con differenti poi prese di posizione, tra colpevolisti, giustificazionisti, nostalgici. La deriva, però, ha colpito anche il mondo delle nostre imprese, non tanto nei rapporti interni, dove le gerarchie e le organiz- zazioni aziendali hanno imposto chiare “regole di ingaggio” che fanno da argine alle degenerazioni, quanto piuttosto nei rapporti esterni, come dimostrano alcuni recenti episodi di ma- leducazione da parte di avventori di Pubblici Esercizi, oggetto di cronaca e di approfondimento sui giornali. EmblematicoèilcasodiunesercentediTreviso che, esasperato dal comportamento di un cliente particolarmente scortese, ha postato sul web la sua esperienza, alimentando una campagna social – con relativo hastag –, facendoquindi uscire altre vittime di maltrattamenti analoghi (cassiere e commessi dei negozi), ricevendo infine solidarietà e sostegno da numerosi followers! Indipendentementedall’individualegradodi civiltàdelleperso- ne, questi episodi sonopurtroppo indiziodi unageneralizzazio- ne: la scarsa considerazione verso professioni come le nostre, considerate umili per la forte componente di servizio, dove il pagamento di un corrispettivo autorizza spesso il destinatario della prestazione ad atteggiamenti irrispettosi e a pretendere (giustamente) il miglior servizio, ma senza (quasi mai) un mini- mo di comprensione verso gli inevitabili errori, gli imprevisti o le oggettive difficoltà del lavoro. È stato pagato un prezzo e, quindi, richiamando il mantra che “il cliente ha sempre ragio- ne”, non è ammesso sbaglio o, peggio, si pretendono onori o servizi non previsti. Questi comportamenti hanno diverse motivazioni. Daunaparte, c’ècertamente lostoricoatteggiamentodell’Eser- cente che, con l’obiettivo di fidelizzare il cliente, gli ha sempre dedicato lemigliori attenzioni, investendosuqualitàeprofessio- nalità,maanchecoltivandouna fortepropensioneallapazienza, che ha generato nel tempo un tasso di sopportazione, capace di assorbire anche scortesie, malumori, critiche. Atteggiamento che in sé è un valore aggiunto, che fa par- te del DNA del bravo commerciante, spesso abusato e non correttamente interpretato, sbrigativamente letto solo come conveniente sottomissioneenon, invece, come indicedi serietà ed educazione verso il cliente. Dall’altra parte, a spiegare il “bullismo” di certi clienti, c’è una motivazione più generale : sta nel venir meno di un concetto importantenell’organizzazionesociale,cheèquellodi“autorità”, rappresentata dalle gerarchie e da figure rappresentative della vita delle persone (i genitori, gli insegnanti, il medico, il vigile, etc.) chetrasmettevano i veri valori dellavita, allequali si portava rispetto e in ogni caso ci si doveva confrontare per crescere. L’autorità, infatti, suggeriva tempi e modalità di scelte, dettava regole e principi, imponeva limiti e divieti, pretendeva rispet- to, puniva le trasgressioni, dava riferimenti corretti, anche di equità e giustizia. Il venir meno dell’autorità, ha generato il permissivismo, che ha fatto diventare normale non obbedire, non studiare, non fare il proprio dovere, con il disimpegno generale anche dalle responsabilità. È stato facile e comodo accompagnare questo cambiamento , perchèeducare, pretendere, rimproverare, correggere, punire, costaanche fatica, con laconseguenzacheoggi èdisconosciuta qualsiasi superiorità – politica, familiare, culturale, morale, – per cui tutti possono parlare, insegnare, scrivere, governare, offen- dere, trasgredire. E i doveri sono sempre degli altri. Invece, in un bar come nella vita, senso e dovere civico non si inventano, ma si coltivano ogni giorno, recuperando anche questi valori dimenticati. Autorità e Permissivismo
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