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FEBBRAIO 2019 / Mixer 53 molto frequentatoconnumerosi posti asedereè impensabile inserire una selezione importante di signature e contempo- raneamente la possibilità di realizzare tutti i classici, perché servirebberospazi immensi sianel backofficechesullostesso banco bar e si rischierebbero delle attese non tollerabili per ricevere un drink. Mentre in un bar con pochi posti a sedere e un mood più lento non ci sarebbero problemi a proporre entrambe le categorie”, puntualizza Giovanni Liuzzi . Sulla stessa scia, Yuri Gelmini barmanger del Surfers’ Den di Milano osserva: “In generale, il vantaggio di segnare in lista i classici è quello di rassicurare il cliente e di farlo sentire meno vincolato ai signature, ma lo svantaggio è che l’avventore non è invogliato a provare nuovi gusti. Se si scrive una postilla, invece, il consumatore sarà propenso ad assaggiare i signature, ma restio a ordinare un classico per paura di non conoscere bene il drink. Infine, se si decide di non fare alcun riferimento ai classici il cliente è portato a provare qualcosa di inedito, ma spesso tende a ordinare sempre lo stesso cocktail”. Interessante anche l’osservazione di Fabio Camboni, bar- manager di Kasa Incanto di Gaeta : “Se si lavora in piccole realtà come la mia, all’inizio è meglio optare per una drink list che comprenda classici insieme a signature. In questo modo è più facile diffondere la cultura del bere miscelato. Una volta che si sono fidelizzati e sensibilizzati i clienti allora si può anche decidere di segnare solo i twist e i signature. Ma è un percorso che richiede tempo”. Detto ciò, attenzione: anche se non menzionate in lista i classici, ricordatevi che “un valido cocktail bar deve sempre essere in grado di servire tutti i classici conosciuti a livello mondiale”, sottolinea Erik Viola . “Spesso i classici sono sottovalutati, in realtà sono essenziali. Sulla lunga distanza i clienti, infatti, magari anche dopo aver provato più volte tutta la lista del proprio locale di riferimento, nel quotidiano ordinano gli evergreen”. YURI GELMINI CON LA COCKTAIL LIST DELL'ESTATE 2018 E IL DRINK "LE 90 MILA ESTATI DI PANDO" E Giovanni Liuzzi barmanager di Otivm Milano aggiunge: “Ilmenuandrebbestudiatoancoraprimadi decidere l’arredo di un locale, perché la personalità di un locale dipende dalla coerenza tra la proposta food&beverage e l’ambiente”. Siamo d’accordo con loro. Tra l’altro, anche al celebre Artesian Bar di Londra lo staff collabora alla stesura del menu molto prima che venga dif- fuso, con maestri vetrai e altri artigiani coinvolti per ottenere il risultato. Detto questo, la carta si può strutturare in modo diverso. Partiamo dai contenuti. CLASSICI IN CARTA, SÌ O NO? C’è chi, oltre alla sezione dedicata a signature e twist, dà spazio ai classici; chi si limita a segnalare in una postilla la possibilità di ordinarli; e chi invece non vi fa alcun rife- rimento. Che cosa è meglio fare? Dipende. Non esiste una strategia valida per tutti. La scelta va fatta sulla base del target del localeedellesuecaratteristiche.Così, per esempio, “inunbar LA COCKTAIL LIST 2017 DEL BOND DI MILANO PUNTA SUL DISEGNO IL MENU 2019 DEL SURFERS' DEN
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