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2 Mixer / APRILE 2019 IL PUNTO del presidente FIPE Lino Enrico Stoppani V ittimismo e complesso d’inferiorità sono spesso due compagni di viaggio , con una declinazione tut- ta italiana della “sindrome di Calimero”, quella del pulcino tutto nero del Carosello, che è sempre di grande attualità. Il sociologoMauroMagatti l’ha recentemente chiamata “vittimismo nazionale ” che produce “una diffusa de- responsabilizzazione e la pretesa di benefici dallo Stato, anche indipendentemente dal merito e dalle reali possibilità”. Così seguardiamo l’agendapolitica, ci rendiamocontodiquanto sia piena di cose, tanto importanti da fare, quanto difficili, per i vincoli di bilanciopubblico, per le ideologiechecondizionano le politiche economiche e per il contesto, sempre più sofferente, anche per stratificate cause storiche. Basterebbequestaconsiderazioneperalimentarealtrovittimi- smo , ma partendo proprio dal nostro settore, che presumiamo di conoscere bene, è corretto riconoscere e dare merito con obiettività e senso di responsabilità di buoni provvedimenti nel frattempo fatti da questo Governo. La sterilizzazione del- le clausole di salvaguardia Iva, la riformulazione migliorativa delle tariffe sui premi Inail, il riporto delle perdite per le ditte in contabilità semplificata, l’aumento della deducibilità Imu su- gli immobili strumentali, sono stati provvedimenti utili e non scontati; non scontati al punto che altre organizzazioni datoriali portavano priorità ben diverse e una sostanziale contrarietà al congelamento Iva, considerata solo come partita di giro per le imprese e non anche come un aggravio di costi per le famiglie, il cui aumento (per la ristorazione dal 10 al 13%) avrebbe por- tato ad un inevitabile forte calo dei consumi e ad una perdita di competitività turistica. Spiegato il vittimismo, va affrontato quel senso d’inferio- rità che appesantisce da tempo il nostro Paese , tanto che nel titolo di un volume-raccolta di discorsi di Enrico Mattei diventa addirittura “ Il complesso di inferiorità” (Edizioni di Comunità Roma 2018). Mattei sosteneva nel dopoguerra, che noi ricordiamo come una grande stagione economica e politica del Paese, quella della ricostruzione: “ci raccon- tavano che eravamo poveri, carichi di braccia destinati solo all’emigrazione, che non avevamo la capacità né le qualità per conseguire il successo” e questi insegnamenti avevano impoverito la cultura del fare. Mattei invitava tutti, in particolare gli uomini della cultura e dell’insegnamento, a contrastare il complesso d’inferiorità per il quale “gli italiani sono bravi letterati, poeti, cantanti, na- vigatori o semplicemente brava gente, ma incapaci di fare gli imprenditori” , sollecitando, invece, a credere e ad avere fiducia in se stessi, nelle proprie possibilità, nel proprio domani, da costruire con lo studio, la conoscenza, la costanza, la passione e l’impegno. Se la ricostruzione divenne il boom economico, fu grazie a tanti uomini come Mattei che superarono allora i pregiudizi e le abitudini che avevano inculcato loro da giovani e che consideravano erroneamente verità assolute. Così oggi, in un mondo diventato enormemente più connesso, ma anche ben più difficile da capire e da governare rispetto a quello in cui visse EnricoMattei, è chiaro che c’è bisogno anche di grandi riforme e di più coraggiose politiche economiche per rilanciarsi, ma c’è bisogno anche di un diverso atteggiamento degli italiani, più prudente sul lato della critica e più obiettivo su quello dell’autocritica, più coraggioso sul lato del sacrificio e più serio su quello dell’impegno. Nessuno regala niente, da sempre, ma la fortuna anche nel lavorova ricercata , coltivando le proprie qualità professionali e il proprioorgogliopersonale, allenando il sacrificioche rafforza i caratteri ealimenta ladeterminazioneper superare ledifficoltà. Su questo tema il nostro settore ha tante belle storie da raccon- tare, di imprenditori, cioè, chedal nulla,macon tanta orgogliosa voglia di fare, hanno realizzato imprese modello, corteggiate dai capitali alla ricerca di investimenti redditizi. Non è vero che erano altri tempi, dove tutto sembrava più fa- cile, perché questa valutazione è sintomo dell’agiatezza, che ci ha impigrito e che spesso ci porta a privilegiare il “ posto ” alla Checco Zalone, piuttosto che il lavoro di gomito. ComescrivevaSant’Agostino, d’altraparte: “ Sono tempi cattivi, dicono gli uomini. Viviamo bene ed i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi” . Gli italiani, il vittimismo e il complesso d’inferiorità

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