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87 Marzo 2020 Non b asta dir e espr esso italiano global coffee / Una classificazione che fa riferimento agli stili che aiuti a spingere all’estero il nostro caffè. di Carlo Odello Q ual è il livellodi specificità con il quale comunicare unprodotto made in Italy all’estero? Prendo lo spunto dal mondo del vino. A fine gennaio il Consorzio del VinoNobile di Montepulciano ha annunciato l’obbligatorietà per i produttori di indicare in etichetta la dicitura “Toscana”. Banale, ma neanche tanto, per noi. Essenziale per i mercati esteri. Il vino italiano ha visto un pro- liferare eccessivo di mini-doc. Secondo voi che valore hanno queste all’estero? Direi inversamente proporzionale alla distanza del luogo di acquisto da quello di origine. Prendiamo un colletto bianco cinese, con buone capacità di spesa, che deve comprare una bottiglia di vino per celebrare un’occasione importante. Quanto potrà essere influen- zata la sua scelta da un’etichetta che riporta una Doc fatta di un paio di campanili? Un’indicazione di qualcosa di conosciuto è sicuramente più significativa. Lo stesso tema si ripropone per l’espresso italiano. Noi siamo quelli della tazza piccola e intensa ed è fondamentale spingere l’idea di un’identità dietro a questa. È innegabile che appena valichiamo le Alpi, in una direzione o in un’altra, quanto ci viene offerto è semplice- mente diverso dalla nostra tradizione (in senso antropologico, lungi da me alcuno sciovinismo). La priorità numero uno è quindi spingere all’estero l’idea di uno stile italiano nel caffè, una fisionomia che lo di- stingue, soprattutto in prospettiva sensoriale. UN ESEMPIO INTERESSANTE È altrettanto vero che, a vari livelli, in dipendenza soprattutto della maturità dei diversi mercati, assistiamo all’emergere di pubblici per i quali delimitare una generica indicazione di italianità sarebbe quasi priva di significato. Riporto un esempiomolto vicino a casa, la Germania. Nel mio ultimoviaggiodi febbraiounmanagerdi unagrandeazienda tedescami sottolineava come una certa categoria di hotel stia iniziando a prestare attenzione al caffè: oggi si vedono costretti a ragionare sul tema perché il loro cliente tipo è semplicemente diventato più raffinato. UNA PROPOSTA In contesti come questi dire solo “espresso italiano” rischia quindi di nonessere sufficienteper appagare l’intellettodel clientepiùevoluto. Si potrebbe forse fare riferimentoa specifiche regioni o cittàper stimolare il ricordo di piacevoli viaggi nel Belpaese, ma trovo più interessante ri- farsi a undiscorso sugli stili. L’Istituto InternazionaleAssaggiatori Caffè (Iiac) neha individuati cinque: l’alpino, il padano, il tirreno, il centrale e ilmeridionale. Una classificazione che non condanna un torrefattore a essere riconosciuto come semplice esponente di una certa regione, ma che ne esalta la versatilità. Un torrefattore del nord può fare una miscela di stile centrale padroneggiandoalcune specifiche tendenzedi gusto, così comeunodel sud può arrivare a concepire una miscela di stile alpino, più tipica del- le regioni settentrionali. La forza degli stili è la loro capacità di rendere onore alla diversità italiana senza però relegare nessuno in un angusto ghetto regionale: a me non sembra poca cosa. ❁ Professione CARLO ODELLO L’autore è direttore generale dell’Istituto Espresso Italiano (IEI) e consigliere dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè (IIAC)
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