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20 Primo piano Mixer Aprire in tempi di coronavirus estero / Uno sguardo a cosa succede in Asia e in Nord Europa e poi osservazioni, strategie e proposte per far ripartire le attività garantendo la sicurezza collettiva. testi e foto di Nicole Cavazzuti M entre scriviamo questo articolo non ci sono ancora certezze sullemodalità di somministrazione e sullemisure che saranno richieste ai pubblici esercizi italiani al fine di garantire la sicu- rezza in tempi di emergenza coronavirus al momento della riapertura. Maquali strategie si possonopercorrereper tornare a fare vivere i locali convivendo con il virus? Lo abbiamo chiesto direttamente a voi. Dopo avere analizzato trediversimodelli di gestionedell’emergenza covid-19 in fatto di fuoricasa all’estero: Cina, Svezia e Giappone. CINA AWuhan, da dove è partito il primo focolaio, e nelle principali città cinesi come Shanghai dopo oltre due mesi di lockdown la riapertu- ra è avvenuta gradualmente. “All’inizio i pubblici esercizi potevano vendere solo con la formula take away: proponevano menù ridotti che si ordinavano e si aspettavano restando fuori dal locale. Per uscire occorreva (e occorre) però, il codice verde. Una sorta di pass di buo- na salute, che ti segnala che non sei contagioso. Legato a un codice personale cinese, come fosse il codice fiscale ma più dettagliato, è integrato nelle social app come WeChat e Alipay di Alibaba. Se, gra- zie alla App, viene segnalato che si è stati nel medesimo ambiente di un infetto (es, il vagone di un treno), il codice diventa rosso e per precauzione occorre stare in casa 14 giorni in quarantena”, ci rac- conta un amico da Shanghai. “Nella seconda fase si è potuto entrare a ordinare nei locali ma sottoponendosi al controllo della temperatura, esibendo il codice verde, indossando la mascherina (che in strada non è mai stata ob- bligatoria) e lasciando il numero di cellulare. Infine, ristoranti e bar hanno aperto le porte con le stesse modalità di accesso per i clienti e con l’obbligo di distanziamento tra i tavoli e di utilizzo di bicchieri e posate usa e getta. Ovunque erano disposti dispenser con disinfet- tanti e c’era il divieto di somministrazione al bancone. E bisognava indossare la mascherina fino a quando non arrivano cibo e drink”. Da pochi giorni (siamo a inizio maggio) lo scenario è cam- biato: bar e ristoranti sono tornati a funzionare come prima dei tempi del coronavirus. “Ma gli abitanti sono costantemente sotto controllo: tre o quattro volte al giorno ci si sottopone al test della temperatura, da quando si esce di casa a quando si entra al lavoro, passando per stazioni, mezzi pubblici etc. E ovviamente, ogni spo- stamento e incontro è monitorato dalle autorità attraverso la App. Impossibile evadere le ordinanze senza essere “beccati””, conclude. SVEZIA In Svezia non c’è stata una quarantena imposta per decreto, ma è stato chiestoai cittadini ungrande sensodi responsabilità: smartworking (in particolare per le categorie a rischio), limitare le uscite non essenziali, tenere il distanziamento(manonviene suggerito l’usodellemascherine, considerate uno strumento non efficace) e chiudersi a casa alle prime avvisaglie di un semplice raffreddore e non abbracciarsi. “In Svezia le persone sono abituate a seguire con scrupolo le prescrizioni delle autorità. Quindi pur con le attività operative al 90%, la flessione è stata comunque evidente per tutti”, afferma Giancarlo Clark, sommelier del ristorante Mancini di Stoccolma. SINISTRA La nostra fonte a Shanghai
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