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2 Novembre 2020 Mixer Il punto U na nota canzone di Lucio Battisti – Con il na- stro rosa , 1980 – ripeteva: “chissà che sarà di noi, lo scopriremo solo vivendo”. Se lo chie- dono oggi anche i Pubblici Esercizi italiani, con l’in- cognita supplementare che sul mondo della som- ministrazione incombono nubi talmente nere, tra limitazioni di orario, coprifuoco, incertezza e insuf- ficienzadegli aiuti, danon rendernepacifica la stessa sopravvivenza. Tante imprese, trabar, ristoranti, pub ediscoteche, insomma, rischianodi nonavere il tem- po utile per vedere cosa sarà di loro, perché avranno chiuso i battenti. Inqueste settimane convulse, nella rincorsa di informazioni, indiscrezioni enuove strette (quat- tro provvedimenti di limitazione delle attività nella sola terza settimana di ottobre), FIPE-Confcommer- cioha incontrato il Presidentedel Consiglio, al quale, con l’analisi di contesto, ha evidenziato i rischi del settore di fronte a questa spaventosa crisi, con l’im- patto dei provvedimenti che ci hanno riguardato. Ma, soprattutto, ha portato delle proposte: suppor- tate dai numeri, animate dal buon senso. Sul breve, brevissimo, termine, ha chiesto tempestivo ristoro economico: in poche parole, ogni misura restritti- va deve essere accompagnata da una proporzionale misura di compensazione (indennizzi sulle perdite di fatturato, crediti d’imposta sulle locazioni, prolun- gamentodegli ammortizzatori sociali,moratorie sui pagamenti, etc.). Sul medio periodo, si è sottolinea- ta la necessità di un incisivo stimolo alla domanda, da attuarsi attraverso la riduzione dell’aliquota IVA e un meccanismo di cash-back dedicato al settore. Sul lungo periodo – non nel tempo di attuazione, ma in termini di risultati dell’investimento – ha, in- fine, proposto interventi di stimolo alla produttività e alla riqualificazione del settore, anche con il raffor- zamentodegli incentivi fiscali. Fare della crisi l’occa- sionedimiglioramentoappareundoveredi fronteal prezzo salatissimo che il Paese sta pagando, da tutti i punti di vista. Dalla proposta, tuttavia, si è purtroppo do- vuti passareallaprotesta: il 28ottobre, inpiazza per ricordare il valore economico e sociale di un settore, che non può essere “strategico” solo nelle dichiara- zioni, ma che appare sempre sacrificabile e per pri- mo. Anche perché, in nome del contrasto al rischio sanitario – giustissimo – si stanno correndo rischi socio-economici esponenziali, di cui si tiene poco conto inunoStatodi dirittonel qualevige il cosiddet- to principio di proporzionalità, che prescrive l’ade- guatezzadeimezzi impiegati al finevoluto. E sul fatto che chiudere prima i bar e i ristoranti, che applicano le disposizioni sanitarie, provochi una diminuzione dei contagi c’è, dati allamano, parecchiodadiscutere. Sempredatiallamano,ilrischioeconomicoè quelloche i numeri rivelanopiùdrammaticamente: il settore dei PE quest’anno ha già perso 24 miliardi su86di fatturato complessivo. I nuovi provvedimen- ti di limitazione rischiano di essere il colpo di grazia per un settore in ginocchio. E siamo ad un passo dal mese dicembre, che vale da solo 110miliardi di con- sumi suun totale annuodi 900. Si rappresenta così il terreno ideale per il rischio sociale, a partire dall’in- debolimentodel tessuto imprenditoriale che finisce per essere semprepiùminacciatoepoi infiltratodal- la criminalità organizzata, che nelle crisi da sempre trova ghiotte occasioni di posizionamento. Ma il ri- schio sociale ha anche una declinazione più sottile, che è quella dell’indebolimento della rete distribu- tiva della socialità, della quale i pubblici esercizi rap- presentanonel nostroPaese strumento tradizionale e fortissimo. Con scelte sbagliate, magari reiterate, il capitale sociale si puòminare inpochimesi, mentre ci voglionodecenni per ricostruirlo; e le conseguenze sono ben lungi dal rimanere soltanto simboliche. RecentementelostessoMinistrodellaSalute hadichiaratochevannotutelate lasalutee, insieme, leattivitàproduttive. Comenondirsi d’accordo. Pec- cato che lapremessa implicitadei provvedimenti as- sunti siapoi evidentemente chenon tutte le imprese sono considerate attività “produttive”, creando una dicotomia tra due blocchi di imprese: quelle essen- ziali (le industriali) che non si possono chiudere, e quelle secondarie, come lenostre, che fannoedanno un servizio, che invecepossono esseremaltrattate. Si ha insomma la sensazione unpo’ stantia di unmon- do che non esiste più, un’Italiamolto diversa di 40 o 50 anni fa (per inciso le aziende del Terziariopesano circa il 70% sul numero degli occupati, sul valore ag- giunto italiano e sulla percentuale di nuove impre- se). Forse dovremmo entrare nell’ordine di idee che tutte le attività economiche sono essenziali perché producono reddito, occupazione, servizi e che tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e i protocolli sanitari assegnati, e per questo vanno controllate. Perché quando un imprenditore non ce la fa, quandoun’impresa chiude, quando l’economia perde i pezzi le scelte simboliche, le parole sbagliate, le idee non fondate presentano un prezzo salato – e molto reale – al Paese. ❁ presidente FIPE di LINO ENRICO STOPPANI Chissà che sarà di noi

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