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2 Settembre 2021 Mixer Il punto S i dice spesso “fare lagavetta”, maquasimai ci si sofferma sull’origine del termine,mutuato dal gergomilitare, secondo il quale “lagavet- ta ” è la scodella destinata al rancio dei soldati. Usata estensivamente, l’espressione non si riferisce tanto al fatto di “guadagnarsi il pane”, quanto all’idea di passare attraverso i gradi più umili per poi arrivare a quelli di ufficiale. Insomma , fare la gavetta è parte del cursushonorumdellapropriavita, pienodei va- lori della dignità e della libertà . E usiamo il termine libertànona casoparlandodi lavoro, perché il lavoro èviamaestradi inclusione edi integrazione, che con- ferisceuna cittadinanzaeconomica, che inalcuni casi arriva anche prima di quella giuridica, contrastando il disagio sociale e diventando formidabile strumen- to di emancipazione, generazionale e di genere. In questi decenni, tuttavia, siamo riusciti a indebolire la cultura del lavoro, oggi considerato prevalentemente nella sua componente economica o, almassimo , per idiritti chedal lavorodiscendono, trascurandone però i valori etico-morali che sono invececollegatiaidovericheadessocorrispondono. Eppure, se su altri temi di grande attualità, come la transizione ecologica e digitale, si registra un’accelerazione post pandemica, sul lavoro non si nota il medesimo cambio di passo. Mentre il mer- cato va veloce, le politiche economiche finalizzate ad accrescere la dotazione di capitale umanohanno un andamento lento e rispondono spesso a logiche fuorimercato, anchedi fortecomponente ideologica. Le conseguenze si vedono, anzi, si pagano : nel nostro settorenon si trovano cuochi o camerieri, negli ospedali infermieri professionali, nelmanufat- turiero i tecnici digitali, con risultati paradossali in termini di tassi di disoccupazione o spesa pubblica per le generose politiche di sussidio al reddito. Il primo articolodellaCostituzione italiana inquadra il lavorocome il fondamentodellaRepub- blica , in quantomezzo che garantisce l’uguaglianza dei cittadini e il loro sviluppo personale. Questo av- viene in un Paese che, attraverso la contrattazione collettiva e l’evoluzione sociale, ha costruito sistemi di garanzie e tutele importanti. Ai datori di lavoro viene richiesto – e forse va reso più semplice, basti pensare all’incresciosa vicenda dell’abolizione dei voucher –di far lavorare “in regola” e secondoqueste garanzie. Ai lavoratori, dipendenti e indipendenti, viene chiesto di “fondare” il Paese. Tante volte in questi mesi di pandemia si è osservato quanto lockdown, crisi e nuovi ritmi di vita abbiano messo in discussione equilibrio tra tempo dedicato al lavoro e quello dedicato alla vi- taprivata , ridiscutendonemodalità, luoghi e tempi di esecuzione. Eppure, forse, il vero progresso che questa profonda e inattesa crisi ha portato non ri- guarda la conquista del tempo liberoper recuperare vita, ma riguarda la capacità di guardare alla propria vita più complessivamente e consapevolmente . Il punto non è quindi lavoraremeno, ma imparare a lavorare meglio . E lavorare meglio significa ritor- nare ad amare il proprio lavoro , qualunque esso sia, perchè solo recuperando questo sentimento si riesce ad aggiungere passione, serietà, responsabi- lità e ambizione, che rimangono i suoi presupposti valoriali, senza i quali si svilisce l’argomento come unamera contrapposizione di interessi, tra diritti e doveri, che rallenta il raggiungimentodegli obiettivi di bene comune. Senonsi recuperanoquesti valori fondanti, non ci saranno mai politiche del lavoro che alzino il livello della partecipazione al bene comune , per- ché il capitale umano si rafforza sulle competenze e sulle conoscenze, ma anche sui comportamenti e sullemotivazioni, non sempre traducibili inmoneta. Si è fatto un gran (dispregiativo) parlare dei “ lavoretti ”, arrivando a coniare persino un’espres- sione anglosassone: lagigeconomy , tacendo tuttavia che proprio grazie a questi “ lavoretti ” molti giovani hanno potuto finanziare i propri studi e abilitare la propria vita, dando valore ai rapporti umani, com- prese le gerarchie, al tempo, al denaro stessoohanno iniziato splendide storie imprenditoriali. La “gavetta”, dunque , rimanemomento for- mativo , siaprofessionalecheumano, edè sicuramen- te “l’adolescenza” di ogni storia imprenditoriale di successo, perché grazie al bisogno, ai sacrifici e alle quotidiane soddisfazioni che ogni iniziooffre, si fer- tilizzanointuizioni,professioni,visionieambizioni, che servono poi per consolidare il dopo. Fatte salve le immancabili eccezioni negati- ve che in ogni storia sempre si trovano , partire dal basso senza sentirsi in basso è la chiave di una vita non solo felice, ma foriera di grandi soddisfazioni . Platone diceva che “l’inizio è la parte più importante del lavoro ” e forseèparticolarmenteveroproprioper un settore come il nostro. ❁ presidente FIPE di LINO ENRICO STOPPANI La gavetta, tra lavoro e lavoretti

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