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2 Luglio-Agosto 2022 Mixer di LINO ENRICO STOPPANI presidente FIPE I ‘buoni’ non più buoni Il punto L a ‘nuova normalità’, che si sta costruendo in- torno alla convivenza con nuove crisi che non lasciano spazio alla tranquillità, vede tornareal pettine vecchi problemi irrisolti del settore, che, se ‘prima’ erano importanti, oggi si rivelano urgenti . Tra questi, l’annoso problema dei buoni pasto, de- gradatidavirtuosostrumentodiwelfare integrativo ad unmaldestro oggetto per scaricare altri costi sui Pubblici Esercizi. Il recente fallimento di Quì Ticket, Società emettitrice di Buoni Pasto, con debiti ammessi al passivo per circa 400 milioni di euro nei confronti di 5.000 creditori, per la quasi totalità operatori che ieri hanno assicurato il servizio e che domani si tro- veranno rimborsati, ben che vada, per il 15%, pone anche un problema di etica e di azione di preven- zione, che uno Stato serio dovrebbe saper assumere e gestire. Da tempo Fipe (in coalizione con le prin- cipali Organizzazioni che rappresentano la quasi totalità dei Pubblici Esercizi e della distribuzione commerciale italiana che accetta i buoni pasto) ha segnalatoaiMinistri competenti e aConsip laderiva dell’attualemeccanismodi garepubbliche, chieden- do di introdurre urgentemente i correttivi necessa- ri per garantire un’equilibrata distribuzione degli oneri del servizio. Il paradosso, infatti, è che oggi la totalità dei costi del meccanismo dei buoni pasto sono scaricati sull’ultimo anellodella filiera e, cioè, a caricodei Pubblici Esercizi edella retedelladistribu- zione commerciale. Siamo l’unico Paese in Europa dove la (insostenibile) commissioneperunservizio viene pagata non da chi richiede il servizio, ma da chi lo rende, con un’escalation che stamettendo in pericolo le prospettive del servizio stesso . E non è solo un problema di chi paga per i buoni pasto,ma ancheun temadi quanto paga . Co- me noto, infatti, le commissioni che derivano dalle gare dellaConsiphannoda tempo raggiunto livelli prossimi al 20%, un benchmark di riferimento che ha inquinato tutto ilmercatodei buoni pasti, impo- nendo oneri ingiustificati, gravosi e sproporzionati, in un settore che ha delle marginalità risibili e che oggi si trova anche ad affrontare un sostanziale au- mento dei costi (dalla bolletta energetica allemate- rie prime alimentari). Paradossodentro il paradosso, tuttoquesto avviene per ‘mano pubblica’, dato che la Consip è stazione appaltante della Pubblica Amministrazio- ne e quindi dovrebbe – il condizionale è d’obbligo – salvaguardare l’interesse generalenella sua attività. Puntare invece soltanto a massimizzare il rispar- mio, trascurando laqualità complessivaal servizio, è ragionamento di brevissimo periodo e nessuna visione generale, perché non esiste un mercato sa- no dove tre attori su quattro perdono (emettitori, esercenti e utilizzatori finali) e uno solo guadagna (il richiedente il servizio). Èanti-economico,maancheeticamente sba- gliato, che lo Stato si faccia promotore di gare d’ap- palto con procedure di gara che azzerano le margi- nalità, dequalificano l’offerta, alimentano scorrette prassi commerciali, introducendodi fattouna tassa occulta sullaRistorazione , che vale circa 250milioni anno. Non era cosa né buona né giusta in passato , ma adesso risulta veramente spiacevole in faccia ad un settore, quello dei PE, che ha pagato un prez- zo altissimo nell’emergenza Covid-19, assicurando nondimeno una rete di servizio e socialità per cui andrebbero premiati e non penalizzati. Insistere con meccanismi di gara che non preservino lungo tutta la filiera il valore nominale del buono pasto è un segnale sconfortante per il comparto e rischia di decretare il tramonto de facto di uno strumento che ha perso tutta la sua iniziale utilità. Infatti, l’attuale insostenibilità economica sta portando inevitabilmente al rifiuto dei Buoni Pasto inmolti Esercizi. L’adesione alla rete di esercizi convenzionati è certo volontaria, mamolti Pubblici Esercizi hanno aderito, non solo per dipendenza economica colle- gata al fatturato indotto dai buoni pasto, ma anche per senso di responsabilità, per offrire, cioè, un ser- vizio ai clienti, pur in perdita. C’è però un limite di tolleranzaacui il sistemaègiàpericolosamentevici- no, l’esitoè lafinedellaspendibilitàdeibuonipasto. Se così fosse, sarebbe un peccato non solo per gli esercenti , che perderebbero unmercato che oggi vale circa 3,2 miliardi di euro, ma anche per le stesse aziende e lePubblicheAmministrazioni , che saranno costrette a ritornare il valorenegli stipendi oa ripristinare il serviziomensa tradizionale , soste- nendo i costi e gli oneri propri di questa attività (spa- zi da dedicare, utenze da riattivare, merce da gestire, rifiuti da smaltire, personale da organizzare, etc .). Trapochissimo si terrà la garaConsip ‘BP10’, che vale da sola circa 1,25 miliardi di euro, che, se confermasse i livelli di sconto raggiunti nelle pre- cedenti gare (19,80% in gara 9 e 16,78% in gara 8), decreterebbe l’atto conclusivo di una vicenda che era partita con lemigliori intenzioni e finisce in un gioco dove tutti gli attori in campo finiranno per perdere . Ecco perché questa riflessione non vuole essere una lamentela, ma l’ennesimo tentativo di ripristino del valore dei buoni pasto, che FIPE sta incessantementeportandoavanti suogni tavolo, per ripensare un sistema che per essere ‘buono’ deve di parecchio essere, subito, migliorato. ❁

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