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85 Ottobre 2022 Forse il distillato più antico del Nuovo Mondo, il pisco peruviano merita di essere maggiormente valorizzato nel mondo del bartending per la sua versatilità nella miscelazione che va ben oltre il suo cocktail più celebre: il Pisco Sour… Maurizio Maestrelli L’APPROFONDIMENTO  M eno popolare del gin, meno “nobile” del whisky, meno evocativo di luoghi lontani rispetto al rum e meno modaiolo della vo- dka il pisco ha tutte le carte in regola per meritare un approfondimento e una riscoperta. Considerato il più antico dei distillati giunti dal Nuovo Mondo , il pisco trova la sua data ufficiale di nascita in un testamento del 1613 . Siamo in Perù e parliamo di pisco peruviano che, a differenza di quello cileno, gode di un disciplinare piuttosto rigido ma anche, rispetto a quello cileno, di un diritto di primogenitura ormai assodato. La parola pisco significa in lingua indigena quechua ‘ uccello’ , piccolo volatile” e il termine venne presto usato per identificare un tratto costiero particolar- mente frequentato da questi animali. Successiva- mente divenne il nome di una città portuale dalla quale partirono le prime spedizioni del distillato dirette soprattutto verso la California ai tempi della corsa all’oro e infine, con pisco si identificò il frutto della distillazione del vino . La sua storia è piutto- sto lunga ma per riassumerla brevemente basterà ricordare che le prime viti furono introdotte al segui- to dei conquistadores spagnoli. Il territorio e il clima si rivelarono subito adatti all’allevamento della vite e nel giro di qualche decennio il Perù era capace di esportare vino verso la Spagna a un prezzo concor- renziale. Tanto da mettere in agitazione i viticoltori spagnoli i quali non esitarono a fare pressione sul re che si vide così costretto a introdurre pesanti dazi doganali sul vino peruviano. La risposta allora dei coloni d’oltreoceano fu semplice: il surplus fu avvia- to infatti alla distillazione. Da questi primi passi va tuttavia riconosciuto ai di- stillatori e alle istituzioni peruviane la lungimiranza di aver stabilito delle regole ben precise per defini- re legalmente il pisco prodotto nel proprio Paese . Innanzitutto le aree geografiche che sono cinque (Lima, Ica, Arequipa, Moquegua e Tacna); poi le uve pisqueras , solo otto equamente divise tra aromati- che e non aromatiche e infine la distillazione che è unica, non doppia ad esempio come nello scotch whisky, discontinua e che non prevede alcun invec- chiamento finale in legno. Quello che salta fuori è dunque un distillato cristallino, espressione diretta dell’uva o delle uve che lo compongono, dalle note che ricordano da lontano quelle della nostra grap- pa ma più delicate, più morbide, meno “prepotenti” quando si tratta di inserirle in un qualche cocktail. E gran parte delle fortune internazionali del pisco le si devono proprio ad alcuni cocktail. A partire da quel Pisco Sour che ha addirittura una giornata dedicata ogni primo sabato di febbraio. La storia del Pisco Sour è abbastanza nota: la sua invenzio- ne è sempre stata attribuita a un americano, tale

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