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17 GIU. LUG. 2018 N on è una cucina per donne. Quanto meno se parliamo di chef, i capi della brigata (linguaggio militaresco introdotto da un uomo, Auguste Escoffier). Le donne sono il 4% degli stellati al mondo, con il “record” italiano di 45 su 343, il 7,2%. Ma qualcosa sta cambiando ai fornelli. Un segnale viene dai premi come il ‘Chef donna Michelin’ e il ‘Best Fe- male Chef’ dei 50 Best Restaurants. Abbiamo chiesto ad alcune prota- goniste della ristorazione naziona- le di raccontarci le loro cucine. E abbiamo deciso di partire da una delle più giovani ‘stellate’ Michelin Caterina Ceraudo (a cui dedichiamo la nostra copertina). GIOVANE PROMESSA Trent’anni e anima del Dattilo, ri- storante in un frantoio del Seicento nell’azienda agricola biologica di famiglia a Strongoli (KR), si è gua- dagnata la prima edizione del pre- mio, nel 2017: “Un’emozione unica, ma subito mi sono interrogata sul perché avevo vinto e mi è venuta voglia di migliorare ancora. Certa- mente ha amplificato la fama del ristorante ma anche le aspettative dei clienti. È un premio positivo perché in questo momento per le chef donne è difficile. Si dice che sia un lavoro impegnativoma penso che oggi sia vero di qualsiasi lavoro, ci sono donne manager che stanno 12 ore in ufficio, donne medico, ma una donna a capo di una cucina è ancora un’eccezione: credo sia un problema di mentalità”. Caterina dopo la laurea a Pisa in enologia è tornata a casa, nel ri- Sono attente, curiose del loro mondo a 360°, testarde e determinate: perché allora le donne chef sono meno di otto su cento? Lo abbiamo chiesto alle dirette interessate, che ci hanno raccontato la loro storia (di successo) DI ANNA MUZIO importante”. Dopo un’esperienza nella scuola di Niko Romito “per sapere cosa c’è nel mondo dell’eno- Varese: “io volevo arrivare, puoi farcela se ci credi davvero”. “Impastavo le pizze a sette anni, a 13 lavoravo nel locale di famiglia, a 21 ho aperto il mio primo ristorante, un’osteria in provincia di Lodi”. E non è stato tutto rose e fiori. “Volevo fare l’imprenditrice e ho chiesto un prestito alto, per cinque anni non ho fatto un giorno di ferie. Ho venduto perdendoci. La passione è arrivata dopo, con Alice, aperto con Sandra [Ciciriello]: iniziavo alle sette del mattino a fare il pane e finivo all’una di notte, ma nei primi sei mesi sono usciti su di noi 80 articoli. È andato tutto liscio, non volevo più sbagliare e alla fine sono riuscita a pagare tutti i debiti e a comprarmi una casa. Quando ho cominciato non avevo un lira”. Viviana Varese storante stellato dell’azienda di famiglia. “Volevo rimanere nel mio territorio, dare un contributo

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