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GIU. LUG. 2018 55 Indossarlo deve essere un’abitu- dine Cappello sì, cappello no? Capello sì, almeno per lo chef Luca Malacrida, Titolare della Squadra Nazionale APCI Chef Italia. «Io uso sempre il cappello – afferma – anche se avendo un problema di altezza (sono alto 1,87 cm) a volte preferisco usare quello piccolo, invece della classica toque. Nel ristorante dove lavoro e quando faccio dei servizi di cate- ring indosso sempre un copricapo e lo impongo ai miei ragazzi. Pur con tutta l’attenzione che possiamo mettere nella preparazione di un piatto, un pelo o un capello può sempre finirci dentro. Va assoluta- mente evitato. Oltretutto è il nostro biglietto da visita, è emblematico della nostra professione». E degli show televisivi in cui gli chef non indossano il cappello, che ne pensi? In quelle occasioni sono più perso- naggi, che chef. Però in occasione di Cibus dove ho spignattato tutta sicurezza alimentare necessarie per mantenere un ambiente igienico». Si richiama ai PRP anche nella recente comunicazione della commissione europea del 30-07-2016 C278/1, che riporta: “Le corrette prassi igieniche (GHP, ad esempio pulizia e disin- fezione adeguate, igiene personale) e le buone prassi di fabbricazione (GMP, ad esempio dosaggio corret- to degli ingredienti, temperatura di trasformazione adeguata), sono denominate nel loro insieme PRP”. «All’interno del piano di autocontrol- lo aziendale – prosegue la De Noia - vengono descritti i programmi di prerequisiti, pertanto viene in- dicato anche come viene garantito un utilizzo corretto della divisa da parte del personale operativo. Le norme descritte all’interno del piano di autocontrollo sono trattate an- che durante i corsi di formazione e addestramento del personale e spesso sono rappresentate grafi- camente nell’ambito di istruzioni esposte all’interno degli spogliatoi». Chiunque lavori all’interno di locali dove si manipolano alimenti è tenu- to al rispetto scrupoloso di alcune regole fondamentali per prevenire le contaminazioni dei prodotti e ga- rantire il livello più elevato possibile di igiene. Gli indumenti da lavoro sono prefe- ribilmente di colore chiaro. «Talvolta – rileva la tecnologa - riscontriamo che le divise indossate dagli chef sono nere o di un colore scuro. Il Reg. CE 852/04 sull’igiene dei pro- dotti alimentari non specifica nulla in merito. D’altra parte, si tratta di buon senso o, per usare un termine tecnico, di buona prassi. Scegliere il bianco o comunque un colore chiaro è la migliore soluzione. In questi casi, infatti, lo stato di pulizia degli indumenti viene immediatamente evidenziato. La divisa non deve presentare bottoni o altri elementi che potrebbero staccarsi e costituire fonte di contaminazione fisica. Per lo stesso motivo non è consentito l’uso di anelli, bracciali…». Altri riferimenti di legge sulla que- stione sono la 283 del 1962 e il de- creto attuativo (n. 327 del 1980), secondo cui nei laboratori di pre- parazione degli alimenti e nelle industrie alimentari gli indumenti devono essere di colore chiaro e riguardo al copricapo precisa che deve contenere interamente la ca- pigliatura. «Questa regola – sot- tolinea - vale sia per il personale femminile sia per quello maschile, indipendentemente che si tratti di un contesto di microimpresa, di mensa ospedaliera o di evento tipo cooking show. Le norme igieniche sono analoghe e indossare il copri- capo rientra tra queste. L’operatore può ovviamente individuare diverse tipologie di copricapo e scegliere anche in funzione dell’occasione di utilizzo. Per una dimostrazione dal vivo possono rivelarsi più adatti, ad esempio, un berretto con visiera o un cappello a bandana. Mentre per lavorare “dietro le quinte” in cucina, un copricapo a retina, soprattutto per il personale con capelli lunghi, può essere l’opzione più pratica. L’u- so di mascherine oronasali e dei guanti non è vincolante, ma frutto di una scelta aziendale sulla base della valutazione della specifica re- altà in cui si opera». Luca Malacrida Roberta De Noia

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