QUALITALY 137

39 MAGAZINE Novembre/Dicembre 202 3 par ticolari e giudica serenamente il cibo consuma- to. Il consumatore può acce t tare che un cibo non confermi del tutto le aspettative generate , nel senso che può tollerare un cer to scostamento tra quanto da lui atteso e le per formance di un prodo tto che consuma. Può ad esempio consumare un cibo che risulti all’assaggio più gradevole sensorialmente , più dolce , o più innovativo di quanto atteso. Tolleriamo bene un cer to livello di sorpresa sensoriale quando assaggiamo un cibo e questa novità sorprendente con cui ci confrontiamo può essere una buona strategia per combattere la noia e far crescere il gradimen- to. Senza esagerare però perché troppa innovazione generalmente disorienta e spaventa. In fondo siamo sempre restii a lasciare la nostra confor t zone anche se non siamo tutti disorientati da un evento inatteso in egual misura. L’accettazione delle novità è infatti un tratto della nostra personalità che varia molto da consumatore a consumatore. Siamo infatti più o meno neofobici e quindi più o meno propensi a sperimentare ed accettare. E sui prodotti dove non ci si può fare un’aspettativa? Come il filetto con l ’oro edibile. Non credo esistano prodotti da cui non ci aspettiamo nulla. Quando si parla di chef stellati , mi sembra di capire che il tuo esempio voglia chiamare in causa l’alta gastronomia, nel mio caso, e ti parlo da consu- matore e non da uomo di scienza , mi me tto già da principio in una condizione di mentalità aperta, pronto ad aspe ttarmi la novità e disposto a farmi stupire , quasi travolgere dall ’inatteso. Anzi , penaliz zo molto una cucina stellata incapace di stupirmi. Non vale lo stesso per gli involtini di mia nonna. Dopo anni che li mangio in un modo mi irriterei molto se vi trovassi ingredienti insoliti o sapori non familiari. Cara nonna, per favore , ti voglio come ti ho sempre conosciuto. Non cambiare. Crede che alcune variazioni , come ad esempio nell ’alimentazione di animali per la produzione casearia o il metodo e i prodotti di coltivazione in campo agricolo, modifichino il gusto o la percezione di quest’ultimo rispetto alla sua classe d’origine? La risposta è cer tamente sì e lo fa su due piani. Uno è quello sensoriale che deriva dalla struttura chimica, ma anche fisica di un alimento dovuta alla sua com- posizione assunta a seconda del tipo di allevamento o coltivazione. Immaginiamo un vitigno e quanto la qua- lità dell’uva in zuccheri, polifenoli e composti aromatici vari in funzione del terroir, dei metodi di allevamento, delle tecniche di vinificazione. Consideriamo il latte delle mucche e quanto la sua qualità organolettica e quella del formaggio che ne deriva varino in fun- zione dell’alimentazione e dell’allevamento. E ’ infatti suff iciente passare da un pascolo di valle a uno di montagna , cambiare la composizione delle famiglie botaniche di un prato, utilizzare foraggi freschi o con- ser vati, allevare le bovine in condizioni di maggiore o minore stress perché cambino gli aromi del latte e del formaggio. Un secondo piano è puramente cognitivo. Deduciamo la qualità di prodotto, sia edonistica sia sensoriale , dalle informazioni di prodotto che abbia- mo. Ci creiamo delle attese sensoriali semplicemente guardando un cibo, sulla base di un profumo, di una tipologia di farming , di confezionamento, di origine. Il nostro cer vello lavora e tanto e costruisce a volte rispettando poco la qualità oggettiva di un prodotto.

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