QUALITALY 139

40 MAGAZINE FACCE DA CHEF Il tavolo dello chef è un osservatorio che si apre sui riti privati della brigata. Ho il privilegio di trovarmi nell’intimità di un ambiente in cui con- vivono vizi e virtù umane, sudore, sangue, risate, sogni. Ci sono legami consolidati dalla fiducia e dalla solidarietà. Si prova a convivere e si impara a vivere perché in cucina , come nella vita , si mettono a nudo le gerarchie fatte di dominanze e sottomissioni, ordini e ubbidienze, miserie e no- biltà che costituiscono la struttura sociale di una brigata cui ci si trova costretti negli spazi confi- nati dei fornelli. Primattori e comparse giocano par ti oppos te sulla s tessa scena senza os ta- c o l a r s i , c h i s o t t o l e l uc i de i r i f l e t t o r i chi nell’ombra d e l l e s c e n e mi no r i . Tu t t i s a n n o c o s a fare e lo fanno bene i n una spar tizione di ruoli , di spa- z i e d i t emp i no t a f i n da l - l a c ons e gna de l cop i one . Mi stupisce il s i l en z i o r o t - t o da l l a so l a voce di Ales- sandro che dà ordini precisi e racconta tra coltelli che sfiletta- no, coperchi di pentole che sobbollono, metal- li- ceramiche-ghisa-terrecotte-ferro impiegate per il taglio o la cottura e privati del tintinnio in silenziose riflessioni, cappe e ventole senza ron- zii, acqua che scorre nei lavelli senza gorgoglia- re viva. Sono strumenti di precisione silenziati dall’esattezza del gesto, privati dell’allegro canto di sottofondo che mi attendo in una cucina dove immagino un concer to di voci e di strumenti. Non che mi aspetti le stesse risposte sensoria- li meridiane autonome generate dall’ascolto di Alan’s Psychedelic Breakfast dei Pink Floyd gra- zie alla sonori- t à d i un uovo c h e c u o c e e s i t r a s f o r ma in musica . Es - sendo abituato fin da bambino ad una cucina d e l l ’ a s c o l t o , do v e g i oc av o c o n m i a ma - dre a t ende re l ’orecch i o pe r sentire i piatti che cuoc i ono n e l l e d i v e r s e sonorità di una bolli tura vigo - r o s a , d i u n a frittura schiop- pettante o di una cottura alla piastra con grassi che sfrigolano, sono disorientato dalla cucina del silenzio. È la modernità, mi dico. Dovrò abi- tuarmi. Le mani precise, i gesti dosati, le cotture a induzione, l’elettronica e forsanche l’intelligen- za artificiale non fanno rima con l’entropia di cui l’amore necessita per essere vivo e vero e vitale. Eppure il teatro della cucina moderna sa essere Il tavolo dello Chef

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