25 Gennaio 2014
Di moltiplicatori dei posti di lavoro, l’economista Francesco Daveri ha parlato nel corso dell’incontro che ha visto protagonista il Gruppo Sanpellegrino che ha presentato l’analisi del valore generarto dalle sue attività.
Ma cos’è un moltiplicatore dei posti di lavoro?
[caption id="attachment_18454" align="alignleft" width="176"] Francesco Daveri[/caption]
Per spiegarlo, Daveri ricorre alla descrizione di Enrico Moretti (Università di Berkeley) che (a proposito degli Usa) dice:«Un posto di lavoro creato nel settore trainante (in Usa è l’high-tech) genera 5 posti di lavoro fuori dall’high tech, mediamente 2 lavoratori qualificati (ad esempio, un ingegnere e un avvocato) e ben 3 lavoratori non qualificati (ad esempio, un addetto al distributore di carburante, un cameriere, una badante)».
In Italia, spiega Daveri, di moltiplicatori di posti di lavoro c’è bisogno. Eccome. Perché, se è vero che nel secondo semestre 2013, dopo 8 trimestri di crescita negativa, è finita la recessione. È vero pure che non sono finiti i suoi effetti sull’economia né sulla società italiana. Infatti il Pil è a -9% rispetto a 5 anni fa, i disoccupati sono più di 3 milioni, le famiglie e gli individui in povertà sono rispettivamente 1,7 milioni e 5 milioni.
Ma come fare? Qual è il ruolo di politica e imprese?
La politica può contribuire in due modi. In primis, scommettendo sui settori e le aziende trainanti, non per spremerle dal punto di vista fiscale, ma perché diventino la leva del successo degli altri collocati intorno a loro. E, in secondo luogo, rendendo l’attività più semplice alle piccole e grandi aziende legate alle aziende trainanti da contiguità geografica o da relazioni di fornitura o di clientela.
Per questo non servono soldi pubblici, ma un’accelerazione nella modernizzazione della pubblica amministrazione. L’anagrafe digitale della popolazione italiana, la fatturazione elettronica delle imprese verso la pubblica amministrazione, lo sportello unico doganale valgono molto di più di miliardi di aiuti alle imprese che spesso si perdono per strada.
Ma anche le imprese possono e devono dare il loro contributo, ad esempio, investendo nella loro qualità e in quella dell’infrastrutturale ambientale e sociale intorno a loro. Una ricerca condotta su un campione di oltre 57 mila imprese italiane ha riscontrato che, tra il 2008 e il 2011, le imprese dotate di certificati di qualità hanno visto salire i loro fatturati di oltre il 4% rispetto a chi non ha investito; per le imprese dotate di certificati ambientali il guadagno è stato di 6,5 punti percentuali. Un segno tangibile che investire in qualità conviene.
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