27 Gennaio 2014
Di disoccupazione, famiglie monoreddito e giovani inattivi ha parlato Emilio Reyneri, sociologo del lavoro presso il Dipartimento di Sociologia e ricerca sociale dell’Università di Milano Bicocca, nel corso dell’incontro in cui il Gruppo Sanpellegrino ha presentato l’analisi del valore generato dalle sue attività.
[caption id="attachment_18636" align="alignleft" width="161"] Emilio Reyneri[/caption]
Secondo Reyneri il dato più preoccupante nel nostro Paese, non è tanto quello relativo alla disoccupazione (che ha superato il 12,5%, ma che comunque è superiore solo di un punto percentuale alla media UE). A tenere più sulle spine è invece quello dell’occupazione, che- secondo Eurostat- è inferiore di quasi 10 punti percentuali alla media UE: 55% contro 65%. Escludendo Grecia, Spagna e Croazia, tra i 28 paesi UE l’Italia è quello che crea meno occupazione. Ciò si deve soprattutto alla bassa occupazione femminile: soltanto Malta, Grecia e Croazia fanno peggio. E con la crisi il divario con la maggior parte dei paesi UE si è accentuato.
Come mai, allora, il tessuto sociale non ha ancora ceduto?
Perché – è la convinzione di Reyneri - la scarsa occupazione è ridistribuita tra le famiglie. L’Italia infatti non è solo il paese dei figli unici, ma anche quello delle famiglie monoreddito. In altri termini, è stata l’alta occupazione dei maschi capifamiglia a consentire di mantenere moglie e figli senza lavoro. Ciò ha ridotto i rischi di grave povertà, sia pure a scapito dell’indipendenza economica delle donne e dei giovani (che escono tardi dalla famiglia di origine). Ma, sempre secondo l’indagine Istat, la crisi ha provocato un significativo aumento delle famiglie ove nessuno lavora: dal 2008 al 2012, nel Nord dal 4% al 6%, nel Sud dal 14% al 17%.
Quanto alla disoccupazione giovanile, è veramente così elevata (4 giovani su 100?)
Probabilmente – dice Reyneri- si tratta di un dato un po’ gonfiato dal momento che nella fascia compresa tra i 15 e i 24 anni il 60% è ancora a scuola o all’università. Semmai, è più grave la situazione dei giovani adulti, da 25 a 34 anni, poiché i disoccupati sono oltre l’12% e molti non vivono più con i genitori.
Proseguire gli studi conviene ancora?
Si, nonostante tutto. In quanto un più elevato titolo di studio consente ancora ai giovani di trovare lavoro più rapidamente (o meglio meno lentamente) e agli adulti di correre un minore rischio di cadere in disoccupazione. Purtroppo, però, il rendimento dell’istruzione (anche in termini di retribuzione e qualità del lavoro oltre che di rischio di disoccupazione) in Italia è decisamente più piccolo che negli altri paesi europei, nonostante la presenza di laureati tra i giovani sia ancora minore. Quella che è carente in Italia è la domanda di lavoro giovanile molto istruito.
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