caffè
14 Maggio 2015Da diversi anni la comunità scientifica ha approfondito attraverso specifici studi il tema del caffè e dei suoi effetti sulla salute. In particolare, l’Institute for Scientific Information on Coffee (ISIC) ha appena concluso una revisione della letteratura scientifica sul rapporto tra il consumo di caffè e aritmia. Gli studi scientifici condotti fino a oggi suggeriscono che un moderato consumo di caffeina (3-5 tazzine al giorno) non aumenterebbe l’incidenza di aritmia. Un moderato consumo di caffè può, quindi, essere considerato come parte di una dieta bilanciata e di uno stile di vita attivo.
Queste le principali evidenze della ricerca:
E dello stesso tenore è anche il parere della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione – Sisa. “Il timore che il consumo di caffè potesse facilitare o provocare un’ aritmia cardiaca - si legge in una nota - è stato uno dei primi ad essere avanzati, date le peculiari azioni farmacologiche della caffeina. Da tempo però sia la ricerca che l’esperienza clinica hanno fornito dati rassicuranti: il consumo di dosi moderate di caffè non provoca disturbi del ritmo cardiaco, evento che può invece verificarsi in soggetti particolarmente sensibili e solo in casi di forte consumo.A suffragare ulteriormente tali rassicuranti considerazioni sono arrivati, negli ultimi due anni, i dati di numerosi studi epidemiologici di lunga durata coinvolgenti svariate migliaia di persone. Le conclusioni pressoché unanimi di questi ampi studi sono state che il consumo di caffè non solo non influisce sulle varie forme di malattie cardiovascolari quali aritmia cardiaca o insufficienza cardiaca, ma è addirittura in grado di mostrare un effetto benefico, e quindi determinare un rischio ridotto, sia nel caso di aritmia atriale che in quello di aritmia ventricolare. Sono stati questi recentissimi dati a conferire maggior forza all’affermazione che un’assunzione regolare di caffè, così come non aumenta il rischio di malattie cardiovascolari in soggetti sani, non aumenta nemmeno il rischio di nuovi episodi cardiovascolari in pazienti già portatori di cardiopatie, diabete o ipertensione, e potrebbe anzi addirittura risultare protettivo in entrambe le categorie di persone”.
La fibrillazione atriale, fenomeno per cui il cuore si contrae a un tasso molto elevato e in modo irregolare, è il tipo di aritmia cardiaca più comune, che colpisce l’1-2% della popolazione. Complessivamente, più di 6 milioni di europei soffrono di fibrillazione atriale ed è previsto che la diffusione di tale disfunzione possa raddoppiare nei prossimi 50 anni. Questo dato assume particolare rilevanza se si tiene conto che almeno l’1% del budget sanitario annuale dei Paesi dell’Europa Occidentale viene investito nella gestione della fibrillazione atriale.
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