10 Ottobre 2016
“All’inizio furono ghiaccio e carbone: è da qui che prese le mosse la professione del distributore”. Parte da lontano – esattamente dall’inizio del secolo scorso – il racconto di Lucio Roncoroni, direttore del consorzio Cda. “Poi, col boom degli anni ’50 e i nuovi elettrodomestici – prosegue – ghiaccio e carbone passarono di moda. Il nuovo business divennero allora le bibite (acqua, gassosa, spuma) che, a quei tempi, il distributore produceva personalmente. Ma fu solo negli anni ’70 – quando cioè prese piede la produzione industriale – che il ruolo del distributore, così come lo conosciamo oggi, ebbe effettivamente il suo avvio.
[caption id="attachment_103342" align="alignleft" width="300"] LUCIO RONCORONI, DIRETTORE DEL CONSORZIO CDA[/caption]
Noi ci focalizziamo sugli ultimi 30 anni: può raccontarci quali fenomeni, a suo giudizio, hanno condizionato questi 6 lustri, innescando un’ineludibile evoluzione del sistema distributivo?
Direi che in questo lungo percorso, tre sono state le tappe fondamentali in grado di condizionare e dirigere gli sviluppi successivi. La prima strettamente attinente all’innovazione, la seconda di carattere industriale, l’ultima in ottica di strategia aziendale. E tutti questi tre casi hanno dato la “scossa” a noi grossisti, sono stati dei potenti catalizzatori di cambiamento, ci hanno messo davanti a un’evidenza inequivocabile bisognava necessariamente lavorare in modo diverso da prima. Sono pronto a riconoscerlo: l’industria, ha sempre messo “pepe” sul mercato. La prima svolta epocale è stata – a fine anni ’70 – l’introduzione del PET in Grande distribuzione. Un cambio di packaging importante che, impattando specialmente sull’acqua, ebbe forti ripercussioni anche sul business dei grossisti per cui a quei tempi il segmento della minerale copriva tra il 60 e il 50% del prodotto distribuito. Per i distributori era giunto il momento di ripensare il proprio ruolo. Fu questa esigenza a innescare, da lì a pochi anni, la nascita dei primi Consorzi, concepiti come nuove entità finalizzate ad armonizzare e normalizzare una compagine di circa 20.000 aziende, piccole e frammentate.
Quindi fu l’inizio di una nuova era?
Diciamo pure che i Consorzi si fecero portatori di un significato profondo: fare sistema in modo da reagire compatti alle novità che stavano scardinando il consueto modus operandi, per proiettarsi verso una nuova sfera di consumi, quella del fuori casa. E anche oggi, a trent’anni di distanza, la regola d’oro (cui il Cda si attiene fedelmente) rimane la medesima: evolvere insieme alle esigenze dei propri associati, investendo sullo sviluppo di nuove competenze per offrire un ampio ventaglio di servizi.
Parlare di Consorzi porta inevitabilmente a Italgrob…
Già, siamo nel 1992: è allora che vede la luce l’associazione di categoria, nata come “sindacato” per portare avanti le rivendicazioni e le esigenze dei tanti grossisti e dei vari consorzi.
Con successo?
Inferiore a quello sperato. Specialmente a causa dello spiccato individualismo di un settore in cui ciascun operatore è strettamente vincolato al proprio territorio e opera all’interno di un raggio d’azione che non supera i 40 Km.
Continuiamo il nostro viaggio nel tempo, quando arriva il secondo momento clou?
[caption id="attachment_103343" align="alignright" width="300"] COCA -COLA DAL 2005 HA BYPASSATO IL RUOLO DEL DISTRIBUTORE INSTAURANDO UN RAPPORTO DIRETTO CON ’ESERCENTE, MA QUESTO NON HA MIETUTO I SUCCESSI SPERATI[/caption]
A metà degli anni ‘90, ecco il secondo giro di boa, siamo negli anni in cui l’industria birraria avvia un sistematico processo di acquisizione nel mondo della distribuzione. È l’esordio delle integrate, aziende forti e strutturate e con maggior massa critica, viste dai produttori come interlocutori più credibili.
Insomma, c’era da aver paura…
Senza dubbio: in quegli anni noi grossisti cominciammo seriamente a chiederci se fosse arrivata la nostra fine. Si paventavano scenari apocalittici in cui le integrate si sarebbero accaparrate tra il 50 e il 60% delle vendite, lasciandoci solo le briciole. Di fatto poi la soglia si mantenne molto più bassa (30% circa), ma agli inizi si temette seriamente per il nostro futuro. E in questo scenario anche i Consorzi, nati per fornire soluzioni di carattere associativo, smisero di essere visti come un baluardo difensivo, quasi il loro ruolo si fosse del tutto svuotato.
Ha accennato a tre momenti topici che hanno scandito l’ultimo trentennio. Qual è il terzo?
Nessun dubbio: la diretta di Coca-Cola, che bypassando il ruolo del distributore, mirava a instaurare un rapporto diretto con il cliente-esercente. Da allora, parliamo del 2005, ad oggi i fatti hanno rivelato come l’esperimento non abbia mietuto i successi allora sperati. Ma sul momento è stato fortemente destabilizzante per il nostro settore.
E veniamo all’oggi: problemi, criticità e possibile road map
La prima cosa che salta agli occhi, guardano lo scenario distributivo dei nostri giorni, è la forte riduzione numerica: dai 20 mila distributori degli inizi si è giunti agli attuali 2000 (anche se in effetti ritengo ci siano molte altre realtà piccole e non censite). Una razionalizzazione importante, imputabile a svariati fattori, compresa (anche se non in forma esclusiva) la crisi economica di questi ultimi anni. Parlare delle criticità richiederebbe una trattazione ad hoc, quindi mi limiterò alle più potenti, in termini di ripercussioni sul business. Mi riferisco ad esempio al problema dei pagamenti e dei cattivi pagatori. Non è una novità: ci si lamentava di questo nel ’93 e lo si continua a fare oggi. Qualcuno, polemicamente, potrebbe rinfacciarci che se siamo ancora qui a recriminare sui cattivi pagatori, non deve allora trattarsi di un problema veramente grave… Ma invece la questione è seria, non riguarda solo i grossisti (direi che è piuttosto un malcostume italico diffuso) ma nel nostro settore impatta parecchio, anche perché la dilazione dei pagamenti viene spesso usata (scorrettamente, aggiungerei) come arma commerciale. È giunto il momento di correre ai ripari, provvedendo a strutturare le aziende sul recupero crediti. La leva su cui agire, dunque, è una: gestire la questione con professionalità e personale dedicato, mentre ancora oggi (dopo più di 20 anni) molti distributori navigano un po’ a vista.
Una criticità da più parti denunciata è il mercato illegale di prodotti destinati all’export, che rimangono in Italia e qui vengono venduti senza il gravame dell’Iva. Che impatto ha questo fenomeno sul vostro business?
Prezzi illogici di questo tipo, generano una turbativa forte sia per il produttore che per gli altri distributori. È inevitabile chiedersi come sia possibile che un simile mercato illegale possa proliferare. Più pragmaticamente una soluzione per attenuare l’impatto negativo sul nostro business, noi distributori potremmo trovarla nella diversificazione dell’offerta. Un po’ come sta già accadendo (e con successo) nell’ambito delle birre artigianali.
Giusto. Però in più occasioni lei stesso ha ribadito che “il 90% delle vendite lo si ottiene con il 10% dei prodotti in magazzino”. Questo cosa comporta?
Semplice: c’è troppa concorrenza. Immagini la scena: 20 distributori per provincia (questa è la media) e tutti con gli stessi prodotti. È inevitabile che per uscire dall’impasse qualcuno ricorra a leve “creative” come il taglio prezzo o il pagamento ad libitum.
Eppure in magazzino le referenze non mancano…
Vero. Ma le proposte veramente innovative, in questi ultimi anni, si contano sulle dita di una mano. E anche le idee veramente originali, non sempre vengono promosse come meriterebbero, perché si preferisce non rischiare un insuccesso. Il risultato è che la domanda rimane statica. È proprio vero quello che si dice: “il mercato vende faticosamente ciò che il mercato disperatamente chiede”.
E come se ne può uscire?
Servirebbe una propositività condivisa: produttori, distributori, agenti ed esercenti concordi e solidali nel lanciare e argomentare nuovi prodotti. Dopo tutto il consumatore è curioso e potrebbe premiare il rischio.
Ecco, a proposito di filiera: se potesse tornare indietro con spirito critico, quali errori – da distributore – cercherebbe di non commettere nei confronti del pubblico esercizio? E quali errori auspicherebbe che il pubblico esercizio non avesse commesso nei confronti dei grossisti?
Molto semplice: noi distributori non dobbiamo svilire l’esercente a semplice acquirente di un prodotto, ma – al contrario – fidelizzarlo con una consulenza a 360° e una formazione approfondita (e non è quindi un caso che il Cda abbia attivato 12 scuole di formazione). Da parte sua l’esercente deve comprendere che il grossista non porta semplicemente i prodotti a domicilio, ma offre ben altro. Il segreto sta nella comunicazione di questo concetto: è qui che occorre investire.
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A cura di Matteo Cioffi
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