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30 Gennaio 2017Merger. Fusion. In altre parole, ibridazione. Ne sentiamo parlare da anni, ma oggi il fenomeno sembra essere a una svolta, sospinto da nuovi fattori che stanno entrando in gioco. Sbarcano sempre più in forze nel nostro Paese le grandi insegne multinazionali: nel Nord Italia spuntano i primi Domino’s Pizza (un evento fino a poco tempo fa impensabile nella patria della pizza autentica!) mentre Starbucks, per la sua prima apertura italiana a Milano nella centralissima piazza Cordusio – che sta vivendo una metamorfosi da piazza, anche metaforicamente, finanziaria a plaza votata al mix tra food e retail entrambi in alto di gamma – ha scelto un format “speciale”, la Starbucks Reserve Roastery, finora sperimentato in poche location di punta come Shanghai o New York oltre alla natìa Seattle dove prevede, oltre alla tasting room, addirittura una biblioteca.
SFUMANO I CONFINI DENTRO LO STORE
Un concept non troppo dissimile da quello che Feltrinelli ha lanciato sempre a Milano in piazza Gae Aulenti dove, all’ombra del nuovo skyline di Porta Nuova disegnato da archistar internazionali del calibro di Cesar Pelli, si affaccia il RED – Read, Eat, Dream – che fonde la libreria con un bar all’italiana e un ristorante veloce di qualità. Punto di originalità del layout è la totale assenza di separazione tra gli spazi di vendita dei libri e quelli destinati alla convivialità: mentre si beve un caffè o si gusta un piatto della tradizione enogastronomica italiana, rivisitato in chiave contemporanea, si può prendere un libro da sfogliare semplicemente allungando la mano verso uno scaffale o un tavolino da esposizione, letteralmente senza alzarsi dalla sedia. Il tutto circondati da un design che strizza l’occhio da un lato alle cafeterias newyorkesi e dell’altro alle trattorie della Vecchia Milano.
[caption id="attachment_116781" align="alignright" width="300"] LA STARBUCKS RESERVE
ROASTERY DI NEW YORK[/caption]
Ma che sia sempre più stretta la fusione tra il mondo bakery da una parte e quello caffetteria-pasticceria gelateria dall’altro lo testimonia ancora Starbucks che per i prodotti da forno, e non solo per i negozi italiani, ha scelto un’alleanza con Princi, storico panificio milanese che da qualche anno, come diversi colleghi, ha intrapreso il salto di qualità verso l’insegna multistore e in collaborazione con il gigante USA sta già pensando anche allo sbarco all’estero anche con negozi stand-alone. Da ultimo, per quanto ormai caso studio notissimo, non si può non citare Eataly che è ormai un benchmark anche internazionale per quanto riguarda la contaminazione di successo, oltre che tra formati del fuoricasa, anche con il retail. Da manuale il nuovo megastore inaugurato di recente a New York, a due passi dal rinato World Trade Center, che affina ulteriormente il concetto esperienziale dei negozi esistenti: cuore dello store è Via Italia, un corridoio emozionale che taglia in due lo spazio (proprio come il “corso” di una cittadina italiana), portando il cliente quasi per mano attraverso 5 grandi eccellenze italiane: pasta, olio, salumi, formaggi e vino
EDUCARE CONSUMATORI CHE CAMBIANO
Ma un grande punto di forza del nuovo Eataly nella Grande Mela è la Foodiversity, l’università del buon cibo che ospiterà tre eventi al giorno tra showcooking e ricette, totalmente gratuiti. Non si tratta solo di un “offre la casa” in versione 21mo secolo, però: l’educazione del consumatore è infatti un altro dei fattori chiave di questa ibridazione 2.0. Se infatti un altro dei mantra che sentiamo ripetere da anni è che “il consumatore è sempre più consapevole e informato”, in realtà questo, come tutti i tormentoni, è solo una mezza verità. Come ha sottolineato il professor Massimiliano Bruni, docente dell’Università IULM, durante il recente convegno Bakery 3.0 organizzato da Italian Gourmet, molto spesso il cliente crede soltanto di essere più consapevole, mentre è semplicemente sommerso da un eccesso di informazioni. Molto spesso non verificate o addirittura in malafede, come può succedere sul mondo senza filtri della Rete. Perché è questo l’altro grande driver del cambiamento: l’evoluzione dei consumi che, però, non sempre segue le aspettative degli operatori. Iniziamo intanto con il dato quantitativo, che è positivo: secondo l’ISTAT nel 2015, a fronte di un aumento della spesa media totale delle famiglie italiane solo dello 0,4%, la spesa media alimentare cresce dell’1,2%. La composizione del carrello della spesa degli italiani, però, è molto cambiata: si tratta di un carrello multietnico, con attenzione al benessere. Contiene meno prodotti di base, ma più qualità e servizi. Sempre l’ISTAT segnala che aumenta l’incidenza del fuori casa sul totale dei consumi, che è addirittura travolgente sul lungo periodo: passa dal 12% negli anni Settanta fino al 32% nel 2015, per un valore di 72 miliardi di euro, che fanno dell’Italia ormai stabilmente il terzo mercato Away from Home in Europa dopo UK e Spagna. Guardando al dettaglio delle tipologie di consumo fuori casa, uno studio di Euromonitor International indica che, dal 2010 a oggi, si riduce leggermente la quota del consumo nel locale (Eat-in) che passa dall’83,7% all’81,1%, mentre cresce in maniera abbastanza significativa l’asporto (dal 14,9% al 16,8%) e, in modo meno marcato, le consegne a casa (dall’1,3% all’1,9%). Proprio l’home delivery, però, che è appena agli inizi nel nostro Paese, rappresenta una delle maggiori opportunità per i “piccoli” che vogliano valorizzare le nuove tendenze per incrementare il proprio business.
INNOVAZIONE ANCHE PER I “PICCOLI” COI PARTNER GIUSTI
La grande domanda potrebbe essere infatti: come può il titolare o gestore di un singolo punto di consumo o vendita cogliere queste opportunità che sembrano disegnate su misura per le grandi aziende dotate di poderosi uffici marketing? La tecnologia, sottolinea ancora il professor Bruni, è uno degli strumenti più alla portata di tutti. Sul fronte dell’educazione del consumatore, per esempio, anche in un piccolo negozio si può stimolare il cliente ad accedere a un’informazione corretta e completa sui prodotti che si appresta a consumare in loco o acquistare per il consumo domestico semplicemente con una buona cartellonistica vicino ai prodotti, che riporti per esempio un QR code da inquadrare con il proprio smartphone o semplicemente un indirizzo Internet. Lo stesso home delivery è alla portata di qualsiasi gestore: non solo perché anche i piccoli punti vendita possono accedere alle grandi catene come Deliveroo o JustEat – è di questi giorni il debutto in Italia anche di Uber Eats, la versione food della nota piattaforma di “taxi privati” – ma anche perché in molte città italiane stanno nascendo servizi simili a livello di quartiere o addirittura di singola via. Naturalmente, la premessa perché questo passaggio possa funzionare è che l’offerta risponda alle esigenze del consumatore. Innanzitutto qualità, originalità, autenticità. Per Giulia Lauro, Responsabile Comunicazione di Alfa Pro, primario produttore di forni, “… il successo di un locale è determinato da un mix di fattori che hanno tutti alla base l’essere originale: dal concept al cibo. L’originalità è la chiave che apre le porte nel mondo della ristorazione: è fondamentale creare piatti di grande caratterizzazione, garantendo una buona qualità del prodotto. Il consumatore oggi è sicuramente molto esigente, attento ed informato ed è quindi necessario che il cibo sia all’altezza delle sue aspettative”.
A proposito di nuove frontiere dell’ibridazione, Lauro ha le idee chiare: “In genere il luogo comune vuole che il forno a legna stia in pizzeria. Noi vogliamo superare questo preconcetto e permettere a tutti la possibilità di usare il forno a legna per cuocere altre pietanze oltre la classica pizza. I nostri prodotti si contraddistinguono per l’evidente praticità, il design unico e la versatilità che li rende adatti ad ogni soluzione”. “Oggi vige il principio della valorizzazione delle competenze – Andrea Gaibazzi, Amministratore Delegato di Tagliavini –. Bisogna partire dalle proprie peculiarità professionali, passioni e aspettative. La difficoltà più diffuse è ‘portare valore al proprio valore’. Troppo spesso gli investimenti sono eseguiti senza un vero progetto integrato, senza identificare con esattezza l’obiettivo. Noi cerchiamo di entrare nelle logiche imprenditoriali del cliente e consigliare solo le attività e gli investimenti funzionali ad un risultato”. Naturalmente, anche il layout gioca un ruolo chiave. Tra le altre, oggi si nota una tendenza verso il design “scandinavo”, cioè il ritorno del legno ma in forme di design. Inoltre va molto forte il colore, nel senso che gli architetti richiedono sempre più spesso sedie di colori diversi, o anche di modelli diversi, per uno stesso locale. “L’ultima parola però è sempre del gestore, dello chef o del caposala, che richiede una funzionalità rispetto anche alla gestione dei flussi, quindi sedute comode ma non eccessivamente avvolgenti per favorire il ricambio ai tavoli – commenta Walter Crescini, Contract Division Director di Calligaris –. Come innovazione, ci sono tentativi d’avanguardia come l’uso del carbonio, ma al momento risultano troppo costosi rispetto a materiali più economici ma con prestazioni simili come la plastica. Nel segmento più entry level stanno ritornando molto le sedie con fusto in metallo, molto richieste soprattutto dal mercato cinese. Nel legno notiamo un passaggio dal tradizionale faggio ad altre essenze come il frassino e, nei mercati nordici, il rovere. Nella plastica, invece, va sempre molto forte la trasparenza “stile Kartell”, sia in versione totalmente trasparente sia colorata”. Un’altra tendenza in ascesa è la sempre maggiore cura dei piani tavolo, perché un numero crescente di locali utilizza i coperti all’americana. Qui il trend è verso laminati di alta qualità che combinano un ottimo effetto legno con la maggiore resistenza e facilità di pulizia. Non vanno trascurate nemmeno le confezioni che, ricordiamolo, sono l’oggetto che il cliente si trova fisicamente in mano. Specie per quanto riguarda pasticceria e gelateria. “Oggi gelatieri e pasticceri puntano sempre più sulla qualità – spiega Alessandro Perli, Direttore Vendite di Scotton Spa – e quindi sono importanti delle confezioni che esaltino il prodotto, ad esempio con delle finestrature che lo rendano visibile anche a confezione chiusa. L’attenzione al packaging dovrebbe senz’altro essere parte integrante nella progettazione di un format contemporaneo di gelateria-pasticceria innovativo e accattivante”. Nel caso di Scotton, per esempio, una delle principali innovazioni distintive è una tecnologia che permette lavorazioni superficiali del cartone, in modo da ottenere effetti tattili oltre che visivi. Questo differenzia nettamente le confezioni da quelle lavorate con una semplice stampa offset e aumenta tantissimo le possibilità di personalizzazione, che è appunto la richiesta che ci arriva dai clienti professionali. In questo segmento, un’altra esigenza che l’operatore deve indirizzare – in chiave di sostenibilità del business – è la destagionalizzazione. “Riteniamo che l’attività di questi tempi debba slegarsi dalla stagionalità tipica del nostro settore, andando ad offrire alla clientela prodotti giusti per ogni periodo dell’anno”, commenta Franco Pravettoni, titolare di Anselli, che si distingue nel panorama degli ingredienti per gelato artigianale affiancando ai prodotti a catalogo proposte innovative come i “Dopocena”, un’alternativa ai gelati da asporto che reinterpreta il dessert freddo di casa in versione finger food. Lato tecnologie, concorda anche Emanuela Cipelletti, Direttore Marketing di Frigomat: “Il Maestro gelatiere e pasticcere ci chiede di risolvere le problematiche legate alla stagionalità dei prodotti. Per creare un format di successo? Dovrebbe ampliare la gamma dei prodotti, anche dal punto di vista dell’internazionalizzazione”.
LA VOCE DEI MAESTRI
[caption id="attachment_116787" align="alignright" width="300"] GINO FABBRI[/caption]
Come vengono viste queste evoluzioni “dall’altra parte della barricata”? Conferma il trend verso l’ibridazione dolce-salato il Maestro Gino Fabbri, Presidente dell’Accademia Maestri Pasticceri Italiani: “La pasticceria è inserita in contesti più vari che propongono meno referenze ma di qualità, in generale si sta andando verso la qualità. Dove si propone il bere e il salato di qualità, ora c’è anche il dolce di livello, con un servizio meno impegnativo ma accettabile. È fondamentale per ottenere un prodotto buono, valido, salutistico, di qualità. La tecnologia, se usata con la testa, dà prodotti cento volte migliori. Per fare certe glasse di dolci oggi è necessario avere un macchinario, ma anche per abbattere la carica batterica degli alimenti. Abbiamo pastorizzatori che ci permettono di lavorare in maniera eccellente”.
[caption id="attachment_116788" align="alignleft" width="229"] IGINIO MASSARI[/caption]
“Io non credo ai dolci dietetici, se uno è a dieta piuttosto mangia mezza porzione – fa da contrappunto il Maestro Iginio Massari, pensando alle crescenti tendenze salutistiche –. Noi pasticceri facciamo un cibo molto particolare che è quello della trasgressione, senza non c’è innovazione né progresso. Il dolce è simbolo della festa, della gioia, che si mangia in compagnia, ha un valore sociale. Io mi sento uno che produce un peccato di gola e ne sono contento, è la mia missione”. “I macchinari – prosegue Massari – cambiano il lavoro e il prodotto finale, senza non si è in competizione. I nuovi macchinari portano a una qualità non immaginabile lavorando a mano. Solo con la tecnologia del freddo si è oggi in grado di sanificare il cibo conservando le sue caratteristiche organolettiche, per dare un cibo igienicamente sano. Però dobbiamo capire che al centro di ogni cosa c’è l’uomo, se non si ha la capacità di capire i valori del cibo e non si opera con correttezza non si va avanti”.
[caption id="attachment_116789" align="alignright" width="300"] RENATO BOSCO[/caption]
Se il fattore umano è al centro – tanto nella pasticceria- gelateria quanto nel bakery – è essenziale coltivarlo, come puntualizza in conclusione Renato Bosco, Maestro Pizzaoiolo del Saporè di S. Martino Buon Albergo (Verona) – “Consiglio di leggere molte riviste di settore ed anche di tematiche al di fuori del food (riguardanti moda/viaggi/ living...) che possono permetterti di vedere le tendenze del momento. Girare il più possibile, visitare vari locali e ristoranti ed assaggiare più cucine possibili, questo permette di aprire la propria mente a ciò che succede fuori dal proprio locale. Inoltre per me è fondamentale lo scambio e il confronto con altri colleghi pizzaioli o chef. Per fortuna ho molte occasioni che ci fanno incontrare e questi incontri, queste chiacchierate spesso si traducono in idee e poi in piatti che si avvicinano sempre più al consumatore perché sono il frutto di un’esperienza vera, vissuta, concreta.
Ristoranti, bar e gelaterie: la top five dei consigli di Mixer per avere successo
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