05 Febbraio 2017
Cosa accadrà nella ristorazione in questo nuovo anno? Quali tendenze si affermeranno e quali mode si riveleranno effimere? Siccome non abbiamo la sfera di cristallo, abbiamo provato a chiederlo a diversi esperti del mondo della cucina: chef, esperti di marketing, operatori commerciali, ricercatori universitari. Una chiave di lettura comune potrebbe essere quella della specializzazione, suggerita da Carlo Meo, esperto di food marketing e amministratore delegato di Marketing & Trade. “Questa tendenza – afferma - in questi anni si è mostrata vincente in ogni tipo di ristorazione: sia il gestore che il cliente amano avere le idee chiare su quello che servono e mangiano. Qualunque sia l’area di specializzazione scelta, non si può dimenticare che oggi non si va a mangiare, ma a vivere un’esperienza. Un ristoratore ha successo se prima di aprire il suo locale pensa a quello che vuol essere e costruisce un’offerta che in tutti i suoi dettagli piaccia al consumatore”. I nuovi fenomeni nascono nelle metropoli più all’avanguardia, poi si trasmettono ad altre parti d’Italia. “C’è una provincia moderna e ambiziosa – spiega Meo – che aspira a imitare le grandi città ed è curiosa di sperimentare. Penso alla Puglia, alla costa adriatica, al Veneto. D’altra parte c’è il ritorno alla cucina tradizionale, del gusto e delle eccellenze. L’evoluzione è diversa: parte da zone come la Toscana o il Monferrato e viene copiata nelle grandi città”. Rimanendo in tema di tradizione, anche se a volte molto rimaneggiata, un altro trend individuato da Meo è quello dello street food. “Questa tendenza è anche legata a questioni economiche – sostiene - aprire un ristorante oggi è costoso; avviare un’attività del genere molto meno. È l’entry level per la ristorazione. Una tendenza parallela è l’imperversare dei gastromercati, copiati da quelli storici spagnoli, in cui si può mangiare. In Italia ne stanno nascendo ovunque, forse troppi, e sono un po’ snaturati come mercati perché non si compra più, ma si consuma soltanto”. Infine Meo evidenzia una tendenza strutturale, più che gastronomica. “Stanno nascendo in Italia – racconta - microcatene locali che insistono su territori ristretti. Questo fenomeno è interessante perché in Italia da sempre la ristorazione era divisa tra operatori individuali e grosse catene commerciali. In mezzo c’era il nulla. Oggi ci sono queste nuove realtà, tra cui non mancano operazioni di qualità”.
TRADIZIONE AL PASSO COI TEMPI
E gli chef che ne pensano? Danilo Angè, membro di APCI, intravede il ritorno a una cucina solida, in cui la tradizione viene rivisitata, con un occhio all’innovazione, soprattutto nelle tecniche. “Nonostante se ne parli da anni – sottolinea - per la grande massa della ristorazione alcune tecniche, come la bassa temperatura, non sono ancora prassi consolidate. La ristorazione buona, ma non di livello top, sta arrivando ora dove gli chef più all’avanguardia hanno già sperimentato. Forse si tratta semplicemente di una maggiore curiosità da parte di chi fa un certo tipo di cucina nei confronti di tutto ciò che è nuovo”. Angè invita a non dare troppo peso ai fenomeni che esplodono per poi rientrare in breve tempo, come le hamburgerie. “Temo però – si rammarica – che continuerà il fenomeno delle aperture e chiusure lampo che ha toccato il massimo nel 2015 con EXPO: non ci si improvvisa ristoratori. Purtroppo questo fenomeno non fa male solo a chi apre e subito chiude, ma a tutta la ristorazione perché per cercare di rimanere in piedi il cattivo ristoratore abbassa i prezzi, non paga i fornitori... insomma impoverisce tutto il sistema”. Forse un maggiore contenimento dello spreco migliorerebbe un po’ questa situazione. “Ma c’è molta meno attenzione di quel che si dovrebbe a questo aspetto – sottolinea – forse perché spesso lo chef non è imprenditore e quindi, per pigrizia e disattenzione, getta cose che potrebbero ancora essere utilizzate. Non dico di arrivare all’estremo, ma una maggiore attenzione non guasterebbe”. Anche Marco Soldati Chef ALMA - la Scuola Internazionale di Cucina Italiana, crede che si debba affermare una cucina più sostenibile. “Essendo un docente – racconta – non mi interessa soffermarmi sulle mode effimere, ma sulle tendenze, più consolidate, che i miei studenti affronteranno quando tra un paio d’anni entreranno nel mondo del lavoro. Credo che in Italia si evidenzino due tendenze, da un lato i grandi chef vanno verso una cucina slegata, dove i piatti sono più assemblati che amalgamati. Lo vedo nelle insalate, nel pesce e nella carne cruda. Dall’altra i bravi cuochi, buoni professionisti, sanciranno il ritorno della tradizione, del baccalà in umido, delle zuppe di pesce, dello spezzatino, dei fagioli in umido... nella loro gustosa semplicità. Questi piatti sono sostenibili perché usano tutte le parti dell’animale, non solo i tagli più pregiati e anche i pesci poveri.
Certo è che per rendere buoni gli ingredienti umili bisogna saper dominare le tecniche di cottura. Qualunque impostore può preparare un filetto alla griglia, ma solo il professionista capace può trattare bene anche il quinto quarto”. Si torna alla tradizione, quindi, ma non ripetuta pedissequamente. “La ricetta tradizionale, quella della nonna, oggi non è più valida: bisogna alleggerire le cotture e ridurre i grassi. La tecnica moderna deve essere al servizio del prodotto, per farci risparmiare tempo ed energia e ottenere piatti migliori anche dal punto di vista nutrizionale. Per il bene anche dei nostri clienti”. Anche in pasticceria si avverte questa tendenza. “Negli anni passati – afferma Salvatore De Riso, membro dell’Accademia Italiana dei Maestri Pasticceri – c’è stata la tendenza di trasformare i dolci in schiume, creme leggerissime, essenze. Credo che si farà un piccolo passo indietro, tornando a prodotti più veri, ma con un occhio alla leggerezza, alla qualità - a partire dagli ingredienti - e al gusto. Ogni dolce deve avere la sua personalità, ma senza esagerare con le calorie. Dovrà esserci anche maggior cura nella presentazione: basta un piccolo tocco per dare al cliente una impressione di maggiore attenzione”.
(Elena Consonni)
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A cura di Matteo Cioffi
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