caffè
21 Settembre 2017Il caffè resta una colonna portante per le casse dei bar. Dei 4,5 miliardi di visite registrate tra aprile 2016 e marzo 2017 nei Bar italiani, oltre 3 miliardi sono sfociate in una consumazione di una bevanda a base di caffè. “Gli ingressi nei locali e i serving mostrano quasi un rapporto di 6 su 10”, spiega Matteo Figura, responsabile Foodservice NPD in Italia. In buona sostanza, una volta entrato in un bar, il cliente non rinuncia quasi mai al sapore dell’“oro nero”. Un’abitudine consolidata, che neppure la crisi è riuscita a cambiare. La prova viene dai numeri: i dati relativi all’anno mobile terminante a marzo 2016 si pongono infatti sostanzialmente in linea con quelli relativi al periodo successivo.
VINCE LA COMPETENZA
Ad essere variato è invece l’approccio al consumo. “Da una lato – osserva Figura –, nei dodici mesi terminanti a marzo 2017 è cresciuta l’incidenza del prodotto più tradizionale come espresso, decaffeinato e americano, passata dal 66,4% al 67,1% dei consumi complessivi di caffè; dall’altro, si è contestualmente ridotto il peso degli specialty – ovvero di bevande come cappuccino e latte macchiato –, sceso dal 33,6% al 32,9%. Sempre tra aprile 2016 e marzo 2017, poi, è aumentata la quota di serving imputabile al canale più classico costituito da bar, caffetterie e sale da the, che pur partendo da una percentuale altissima, pari al 90,5%, è riuscito a guadagnare ulteriore terreno raggiungendo la soglia del 91,1%. Allo stesso tempo, si è ulteriormente contratta la share della parte restante del mercato, quella cioè rappresentata da snack bar, tavole calde e tavole fredde, che dal 9,6% è calata all’8,9%”. Due trend, quelli appena descritti, che portano a una sola analisi: “Il consumatore – rileva il manager – tende a preferire una miscela di qualità, da gustare preferibilmente nei locali specializzati. Non vi è spazio, insomma, per i compromessi: se ci si concede il caffè, questo deve essere buono. In altre parole, se negli anni più bui della crisi i clienti hanno messo in campo una razionalizzazione della spesa che ha portato anche a sperimentare il consumo di caffè attraverso canali non convenzionali come il vending, l’etnico o il quick service italiano alternativo al bar, ora che si inizia a sentire un seppur debole vento di ripresa il focus si sta spostando sulla qualità. Da qui, la preferenza per i locali che garantiscono una competenza circa il prodotto ricercato, locali cioè in grado di garantire l’eccellenza nel risultato in tazza, accompagnata naturalmente da un servizio all’altezza. E da qui anche la maggiore propensione per una degustazione della miscela pura, non utilizzata insomma come ingrediente base per altre bevande”.
IL PRIMATO DELLA COLAZIONE
Il monitoraggio di NPD Group però segnala anche un’altra significativa discontinuità rispetto al pur recente passato: gli ultimi mesi hanno fatto segnare nell’analisi per fascia oraria una più spiccata polarizzazione delle visite. “I dati ci consegnano un’indicazione chiara – spiega Figura –: la tenuta dei consumi del caffè e ancor prima delle performance dell’intero canale dei bar passa dalla crescita del segmento della prima colazione. Un segmento cruciale, considerato che vale il 63,3% del traffico attratto nei locali e il 77,9% di quello legato al solo consumo di caffè. Complice la diffusione di nuovi format che consentono di scongiurare la calca mattutina davanti al bancone e grazie anche all’innovazione apportata ai prodotti destinati ad essere abbinati al classico caffè, da circa due anni i riscontri relativi alla prima colazione sono tornati a muoversi in territorio positivo”.
L’ANALISI DEL TARGET
Nel solco della stabilità si collocano invece gli altri indicatori presi in esame da NPD Group. “Innanzitutto, va detto che il caffè si conferma appannaggio di un pubblico prevalentemente adulto – commenta Figura –: oltre il 57% di chi lo beve rientra nella fascia di età compresa tra i 25 e i 49 anni, cui si deve aggiungere un 26% attribuibile agli over-cinquantenni”. E qui si potrebbe intravedere un pericolo per il futuro. “I Millennial, ovvero i ragazzi tra i 18 e i 24 anni – sostiene il manager – non sembrano molto legati al caffè, tanto che la loro incidenza sul totale delle visite ripartite per fasce d’età non raggiunge neppure il 10%. Il che significa posizionarsi sotto il benchmark di riferimento. Mi spiego meglio: se, come visto, il rapporto generale tra visite e serving di caffe si avvicina alla parità, nel caso dei giovani si rileva invece una forbice più sensibile”. In continuità si collocano poi anche i dati relativi alla distribuzione delle visite per sesso. In questo caso, si rileva una complessiva equivalenza nella frequentazione dei bar tra uomini e donne. I primi però mostrano una preferenza più marcata per il caffè tradizionale (53,4% contro 46,6%), mentre le seconde apprezzano maggiormente gli specialty (con percentuali perfettamente invertite).
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A cura di Matteo Cioffi
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