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06 Marzo 2018Uno degli aspetti che più di altri decretano, al giorno d’oggi, il successo di un vitigno, e quindi del vino che da esso deriva, riguarda la sua capacità di essere versatile. Non parlo della velocità con cui si svuota la bottiglia, ma delle modalità con cui una determinata uva la riempie. Penso a come una stessa varietà, declinata in versione bolla o vino fermo, in questo secondo caso magari macerato o magari affinato mediante diversi strumenti (botti, serbatoi di acciaio….), possa mostrare lati sempre diversi, compatibilmente con il suo patrimonio aromatico e gustativo e con il terroir da cui deriva. I grappoli definiti internazionali spesso sono dotati di questa versatilità, ma lo stesso accade ai vitigni autoctoni. In Italia ne siamo pieni. Tuttavia uno in particolare risponde all’identikit stilato qualche riga più in alto, riuscendo al tempo stesso a tenere unito un territorio politicamente da sempre diviso. Il Collio è una terra di confine. Frammentata nei secoli passati, oggi, nonostante l’Ue, rimane a metà tra Italia e Slovenia. Le cartine sono fatte per le bandierine, ma le colline del Collio, ricche di quella pietra marnosa mista a sabbia che noi chiamano ponca e che sul versante sloveno chiamano opoka, sono fatte per la Ribolla Gialla.
ALLA SCOPERTA DEL VITIGNO
Le divisioni tra i due territori permangono, vitivinicolmente parlando, quasi solo a livello onomastico, visto che in Italia chiamiamo Collio, Ribolla Gialla e ponca, quello che in Slovenia individuano rispettivamente con: Brda, Rebula e opoka. L’unione territoriale del Collio, ovviamente a suon di Ribolla, è stata ribadita da una manifestazione, svoltasi a fine estate, intitolata ‘Brda home of Rebula’. Le sale dell’elegante villa Vipolze, in piena Brda, hanno ospitato una giornata dedicata alla perlustrazione delle caratteristiche del vitigno e delle sue prospettive, specie in rapporto alla sua capacità di affinamento, una volta messo in bottiglia. La masterclass della mattina ha perlustrato prima la storia del vitigno, poi il suo habitat geologico e infine, grazie al tasting vero e proprio, le variazione, sempre relative al vino fermo, sul tema Ribolla/ Rebula. Il doppio nome si deve al fatto che al tasting hanno partecipato produttori, e relativi vini, provenienti da entrambi i versanti del Collio. I nomi? Kristian Keber, Radikon, Jermann e Gravner per quanto riguarda i produttori nostrani ed Edi Simcic, Dolfo, Marjan Simcic, Scurek, Erzetic, Klet, Medot, Zanut e Ferdinand per quelli della Brda.
IL RUOLO DEL TERRITORIO
Il risultato, al di là degli stili enologici e dei materiali utilizzati in fase di vinificazione (acciaio, legno di diverse dimensioni e persino anfore), ha messo in luce un rispetto, condiviso da tutte le etichette partecipanti, del binomio varietà/luogo di produzione. A questo si è aggiunta, come dimostrato dagli assaggi dei vecchi millesimi, una capacità di affinamento in bottiglia più che buona, anche in annate non proprio da competizione. Se di versatilità ho parlato all’inizio, non si possono non citare le bolle, scusate il gioco di parole, a base Ribolla. Una tipologia che qui si ottiene mediante metodo classico e che si manifesta, compatibilmente con il dosaggio dei vini, grazie a sorsi freschi, diretti, oltre che dotati di quella beva che, vista la tipologia, più che una caratteristica ha qui i contorni di una necessità vera e propria. Spero vivamente che negli anni a venire la manifestazione ‘Brda home of Rebula’ si possa ripetere, magari allargandosi a molti più produttori, di modo che il Collio, proprio grazie ad uno dei suoi vitigni più rappresentativi, possa essere di nuovo uno. Unico, infatti, lo è già...
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Matteo Cioffi
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