24 Febbraio 2018
Anno nuovo vita nuova, quella del vino cambia vendemmia dopo vendemmia, in una rinascita che ha quasi del religioso. Io che sono devoto all’assaggio non mi posso ovviamente sbilanciare sull’annata 2018, anche se il freddo di questa parte d’inverno, farebbe pensare a una bella partenza perché la vite, per arrivare bene al traguardo della vendemmia, deve riposare nei mesi freddi. I millesimi precedenti sono la celebrata 2015 e quella 2016 che, secondo il palato di chi scrive, probabilmente supererà proprio la 2015 in tenuta nel tempo domani e in finezza già oggi. Entusiasmo freddino per la torrida 2017, ma qualche vitigno, penso alla Barbera, ci darà belle e buone soddisfazioni. Agli “albori” di questo 2018, vorrei lasciarvi alcuni nomi relativi ai vini da assaggiare nel corso dell’anno.
BIANCHI DA NON DIMENTICARE: IL RÜLANDER
Se all’inizio dicevamo di cambiare registro, allora vorrei segnalarvi solo vini bianchi, tipologia spesso sottovalutata nel nostro paese, anche se da anni ormai possiede una qualità complessiva non meno che buona, riuscendo addirittura a elevarla nel tempo, se sottoposta a un corretto e prolungato affinamento in bottiglia; pazienza di chi assaggia permettendo. Un mare di vitigni autoctoni e varietà non propriamente di casa nostra, queste ultime in molti casi talmente radicate in certi territori da essere, di fatto, ormai assimilabili all’autoctono, in virtù di quel reale jus soli che la natura mette in atto da ieri, mentre l’uomo ancora s’interroga se realizzare o meno. Iniziando a fare dei nomi vorrei segnalare il Rülander della cantina atesina Ceo. Si tratta a tutti gli effetti di un Pinot Grigio: Rülander è il nome che il vitigno acquista nei paesi di lingua tedesca, prodotto da una giovanissima cantina (l’annata 2016 è il loro primo millesimo) di Salorno. Il loro logo, riportato anche in etichetta, è una chiave, a simboleggiare la collocazione dell’azienda: Salorno è il paese che rappresenta la porta dell’Alto Adige, ma è anche il simbolo di un vino che mira a farci entrare nella più autentica identità gustativa del Pinot Grigio. Ceo, nonostante il nome che potrebbe far pensare a un manager rampante – c’entra niente invece - ha l’umiltà di una realtà che lavora in piccolo, cercando di far grande un vitigno che ancora soffre di tante, troppe, interpretazioni sul tema.
TENUTA BELTRAME, IL VERO FRIULANO
Lavorare per far emergere il trio vitigno-territorio-annata è lo stesso fil rouge (strano colore parlando di bianchi!) di un’altra cantina che vorrei segnalarvi. Si chiama Tenuta Beltrame, siamo in Friuli, e allora cosa c’è di meglio di un Friulano vero? Il vitigno è nient’altro che l’ex Tocai costretto a cambiar nome da una disputa internazionale, purtroppo persa dall’Italia. Quello che non si perderà mai è il carattere di un grappolo che Tenuta Beltrame produce in maniera coerente con il carattere dell’annata e con quelle inclinazioni che l’uva assorbe dal terroir. La tendenza a privilegiare un vino che porti con sé un reale messaggio del territorio e dell’annata, rispetto ad un whatsapp frutto delle sole inclinazioni enologiche del produttore, è un aspetto sempre più presente, se non addirittura fondante, nei vini bianchi di casa nostra.
ANCORA QUALCHE DRITTA…
Volendo dare altri consigli per i vini del 2018 potrei citare il Verdicchio Pignocco dell’azienda Santa Barbara, dal profilo salato e dalla beva incontenibile oppure il Grechetto di Leonardo Bussoletti chiamato Colle Ozio, un vino che poco indugia, nonostante il nome, andando dritto a un gusto agrumato, salato e balsamico di erbe aromatiche. Scendendo al sud le eccellenze bianche, contrariamente a quanto i più possano pensare, crescono in quantità e addirittura qualità. Se i vini della Campania, fatte salve le rispettive peculiarità, non hanno meno freschezza o capacità di reggere il tempo rispetto ai sorsi di latitudini più nordiche, lo stesso accade a molti vini siciliani, specie quelli dell’Etna. Ecco allora che il mio consiglio, tra i tanti che andrebbero dati, va all’Etna Bianco prodotto da Giovanni Rosso, già eccellente vigneron in quel di Barolo. Un vino che ribadisce l’intelligenza di un produttore che arriva in un luogo non suo, ma con garbo e tecnica lo valorizza al meglio.
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo
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A cura di Matteo Cioffi
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