02 Dicembre 2013
Parlando di “economia italiana” dovremmo farlo consapevoli di avere a che fare con un Giano bifronte. Perché se è vero che internamente essa presenta numerosi fattori di debolezza, causati dall’impoverimento progressivo e dal senso di paura e incertezza che si sta diffondendo subdolamente, è vero pure che esiste un settore dotato di forza propulsiva che in questi anni ha fatto progressi enormi.
È quello della green economy che, con il suo paradigma produttivo, ha fornito linfa e ispirazione al nostro comparto manifatturiero.
[caption id="attachment_15203" align="alignleft" width="150"] Ermete Realacci[/caption]
«Tanto è vero- precisa Ermete Realacci, presidente e fondatore di Symbola – che in questo campo il nostro Paese è più forte di Inghilterra e Francia e la sua bilancia dei pagamenti è in attivo. E questo nonostante sia penalizzato da una bolletta energetica che raggiunge i 50 miliardi di euro».
Il Rapporto GreenItaly 2013
In effetti la green economy, intesa come linea verde che attraversa e innova tutti settori della nostra economia, ha avuto delle performances più che notevoli. A rivelarlo è GreenItaly 2013.Nutrire il futuro, il rapporto annuale di Unioncamere e Fondazione Symbola che mette sul tappeto numeri interessanti.
[caption id="attachment_15208" align="aligncenter" width="207"] %, per provincia, delle imprese che hanno investito nella green economy[/caption]
Rivelandoci, per esempio, che sono 328mila (il 22% del totale che sale al 29,7% per l’industria manifatturiera) le aziende dell’industria e dei servizi che dal 2008 hanno investito, o lo faranno quest’anno, in tecnologie green per ridurre l’impatto ambientale e risparmiare energia. E che saranno queste a fornire il 38% di tutte le assunzioni programmate nell’industria e nei servizi: 216.500 su un totale di 563.400.
Una vera rivoluzione, dunque, che vedrà sul campo 3 milioni di green jobs. Non basta: pare anche che il 42% del totale delle assunzioni under 30 programmate quest’anno verrà fatto proprio da quel 22% di aziende che fanno investimenti green.
Se poi guardiamo alla propensione all’export, vedremo chiaramente che il 17,5% delle imprese (57.500) che investono in eco-efficienza sono esportatrici, mentre, tra quelle che nel green non investono, la percentuale scende al 10%.
«Questa- commenta il presidente di Symbola- è l’Italia che ce l’ha fatta. È l’Italia che rinnova la sua immagine e che, citando Carlo M. Cipolla “produce all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo”. Peccato però che troppo spesso tutto questo avvenga in sordina e gran parte dell’opinione pubblica ne rimanga all’oscuro. Per esempio sapeva che le giostre più richieste e apprezzate al mondo sono quelle italiane? E non solo perché più belle, ma anche perché consumano il 50% in meno di quelle tedesche?».
E all’esempio delle giostre se ne potrebbero aggiungere tanti altri, come quello dei packaging alimentari in vetro che vede alcune aziende particolarmente virtuose ridurre progressivamente l’impiego di materia prima vergine a vantaggio di vetro da riciclo.
Politica e istituzioni
A ben guardare, dunque, lo scenario è piuttosto dinamico. Ma in tutto questo viene da chiedersi quale sia stato e quale sia tuttora il ruolo della politica.
«Beh, avrebbe dovuto leggere più a fondo il fenomeno in modo da fare di più - commenta Realacci-. Prendiamo ad esempio gli incentivi sulla bioedilizia: anziché rinnovarli periodicamente, lasciando quindi ampi margini di incertezza, per spingere veramente il settore avrebbe dovuto stabilizzarli.
Invece, ancora oggi il dibattito sulla casa sembra trascurare questi aspetti, a mio parere veramente innovativi, per concentrasi su l’Imu e “le sue sorelle di recente conio”. Eppure basterebbe fare un conto semplicissimo per capire che il vero vantaggio per i cittadini non risiede tanto nel risparmiare in media 250 euro di Imu, ma risparmiare 1500 euro in bolletta con interventi di riqualificazione sugli immobili. Ma non creda che questa incapacità di leggere le nostre potenzialità imprenditoriali sia una mancanza connessa esclusivamente alla green economy. Si tratta al contrario di una pecca ben radicata che ha delle ripercussioni notevoli specialmente sul fronte dell’esportazione.
Caso lampante è quello del settore vinicolo: rispetto agli anni ’80 del secolo scorso (per intenderci prima dello scandalo etanolo) oggi produciamo il 50% in meno di vino, ma abbiamo fatto in termini qualitativi un balzo in avanti impressionante. Se prima il vino italiano andava all’estero come vino da taglio per prodotti più pregiati, come quelli francesi, oggi, invece, ad essere apprezzata è proprio la sua italianità. Questa sua peculiarità cromosomica, oserei dire, che dà origine a vini unici come l’Aglianico, il Nero d’Avola o il Brunello. Tanto è vero che siamo passati da un giro d’affari di 700 milioni di euro ai 5 miliardi del 2012. Tuttavia queste nostre aziende devono farcela da sole, perché istituzioni e politica non hanno messo in campo strategie degne di questo nome per sostenerle legalmente, finanziariamente e diplomaticamente. E pensare che fuori dall’UE il nostro export supera quello tedesco!».
Tornando alle evidenze del rapporto, è indubbio che in tema di green economy l’Italia ha fatto passi importanti, tuttavia il nostro paese è anche tristemente noto per la “terra dei fuochi”: secondo lei, un paradosso così stridente come può essere risolto?
«Serve uno scatto politico e istituzionale che determini una cesura netta con il passato e metta in scacco le ecomafie. Il fatto che in Campania i 4 miliardi di euro investiti in regime di commissariamento non abbiano portato a risultati concreti è la plateale dimostrazione che non si può cercare di rattoppare i danni, ma che - al contrario - serve resettare tutto e ricominciare da capo.
E ciascuno deve fare la sua parte, senza nicchiare. Perché, come diceva Edmund Burke:“Nessuno ha mai commesso un errore più grande di colui che non ha fatto niente perché poteva fare troppo poco”».
Però è vero che impegnarsi personalmente, quando la politica non dà messaggi incoraggianti, è un po’ arduo per i cittadini…
«Verissimo. Le istituzioni devono prendere posizione, dare segnali forti. E va proprio in questa direzione, per esempio, la mia proposta di “desecretare” l’audizione di Schiavone del 1997.
A distanza di anni questa documentazione non può certo fornire niente di sostanziale, ma l’iniziativa ha un significato simbolico importante: quello di squarciare il velo di silenzio e segretezza che troppo spesso ammanta - nell’immaginario collettivo- le operazioni del palazzo.
Ma perché risulti realmente credibile l’impegno politico a difesa della legalità bisognerebbe sbloccare la Commissione Bicamerale sui rifiuti, ancora parcheggiata al Senato, ma anche adottare strumenti giuridici adeguati contro i reati ambientali e dotare le Regioni di un adeguato piano di smaltimento dei rifiuti, che valorizzi quelle comunità virtuose fino ad oggi penalizzate. Sapeva che in Campania esistono più di cento comuni in cui la raccolta differenziata dei rifiuti supera i 55%? Peccato che poi non ci siano le piattaforme di raccolta…
E infine serve localizzare i terreni contaminati e bonificarli (magari con i beni confiscati alle mafie, verrebbe da sperare), ma senza generalizzare e fare di tutta l’erba un fascio dicendo con Schiavone che:«Tutto è avvelenato». In questo modo si uccidono gli agricoltori e le imprese oneste, (cantine, caseifici, pastifici) che hanno la sfortuna di lavorare in aree “malfamate”.
È da queste generalizzazioni superficiali che nascono poi campagne discriminatorie che vantano l’origine”non campana” delle conserve di pomodoro.
Sono episodi spaventosi perché fanno proprio il gioco delle eco-mafie che sui veleni (e il sospetto e la paura rientrano appieno in questa categoria) ci sguazzano….».
Parlando con il presidente di Symbola il rischio è quello di rimanere affascinati dal suo racconto, per questo a un certo punto è necessario imprimere una sterzata e restringere il campo. Alle performance della Gdo in tema di Green economy, per esempio.
«La grande Distribuzione ha oggi -puntualizza Realacci- il peso per svolgere un ruolo trainante in questo senso. Mi riferisco per esempio all’implementazione della bioedilizia. Grazie alla sua massa critica e avviando delle operazioni intelligenti e ponderate, il retail ha infatti la possibilità di ammortizzare facilmente e in breve tempo gli investimenti messi in campo e di ricavare grossi utili dalla riduzione dei consumi.
Ma il suo ruolo in area green è anche trasversale in quanto legato alla possibilità di valorizzare e di farsi vetrina privilegiata dei prodotti del territorio. Altro punto cruciale delle politiche ambientali della Gdo è poi quello legato ai rifiuti, agli imballaggi e al loro smaltimento. Le iniziative fin’ora adottate sono importanti, certamente si può fare di più però è indubbio che un circuito green la Grande Distribuzione lo ha aperto e lo sta percorrendo con una certa costanza.
Lei sostiene che Expo 2015 potrà «essere la prima esposizione mondiale della green economy». Cosa vuol dire?
Mi riferisco al fatto che la prossima Esposizione Universale sarà la prima organizzata dopo la deflagrazione della crisi economica che ha sovvertito tutti gli equilibri. Sarà l’Expo pensata, organizzata e realizzata con questi nuovi input culturali e quindi sarà più disponibile a cogliere le nuove sfide al futuro, tra cui la green economy rientra a pieno titolo. Per l’Italia sarà un’enorme opportunità a patto che non voglia emulare e competere con realizzazioni titaniche come l’Expo di Shangai, ma si metta in gioco con le sue peculiarità, con quella sua capacità di far parlare il suo territorio, con la sua concezione di economia a misura d’uomo, di cui parla anche Papa Francesco.
Nessun rischio di rimanere chiusi nel nostro “particulare”?
Non credo proprio, per questo le risponderò con una bella frase di Schmidt, il signore di Google:«In un mondo sempre più globale i prodotti di nicchi non sono più costretti in un mercato di nicchia».
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A cura di Matteo Cioffi
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