25 Dicembre 2018
Secondo gli ultimi dati Fipe -Federazione Italiana Pubblici Esercizi – le donne impiegate nel settore dell’ospitalità professionale sono più degli uomini: il 52,3% contro il 47,7%. In particolare su 394.435 lavoratrici dipendenti, 124.363 sono impiegate nei bar (31,5%), 183.632 nei ristoranti (46,6%) e 86.440 in altre tipologie di pubblico esercizio; il 30% delle lavoratrici ha un’età compresa tra i 20 e i 30 anni, seguite dalla fascia d’età 30-40 anni (il 23,4%), mentre il 20,7% ha meno di 20 anni (Fonte Istat). Se il settore è colorato di rosa, quali sono le condizioni di lavoro e welfare, per le donne, alla luce delle ultime novità? Per Antonella Zambelli, Presidente del Comitato Fipe in rosa, riguardo l’ultimo contratto CCNL per i lavoratori Ho.Re. Ca.: «La novità più rilevante è l’aumento stanziato di 100€ in 4 an¬ni. In pratica – spiega Zambelli – nel 2018 il lavoratore si troverà in busta paga 25€ in più al mese, nel 2019 altri 20€ (l’aumento diventa di 45€), poi nel febbraio 2020 si aggiungeranno altri 20€ (la cifra al mese sale dunque a 65€ in più in busta paga), infine nel marzo 2021 si avrà l’aggiunta prima di 15€ e la rimanenza di 20€ nel dicembre 2021». In ogni caso: «In accordo coi sindacati, gli aumenti non saranno retroattivi». Altre novità: «Il valore della trattenuta pasto aumenterà gradualmente di 0,20€ per ogni anno di vigenza del CCNL; per quanto riguarda invece il sistema di orario multi periodale le aziende potranno articolare l’orario di lavoro oltre le 40 ore fino a 48 per un massimo di 20 settimane con recupero in altrettante settimane di minor lavoro. Ogni lavoratore già in forza può usufruire di 104 ore di permesso: 72 a disposizione delle imprese, 32 del lavoratore – specifica Zambelli – mentre le ore di permesso, per i neo-assunti scatteranno dopo 4 anni anzianità». Cambia anche il numero di apprendisti richiedibili dalle imprese (incentivo all’assunzione dei giovani, dati i contributi agevolati): «Che diventano 3 ogni 2 qualificati». Per quanto riguarda il settore, chiosa Zambelli: «C’è molta offerta, e anche molta domanda: il pubblico esercizio è un settore con ottimi margini, con orari e turnazione notevole, aperti 7 giorni su 7 e in media 12 ore al giorno». La turnazione, però, continua «garantisce alle donne, con il part-time, di poter lavorare e contemporaneamente seguire la famiglia», anche se «non ci sono specifiche novità sull’occupazione femminile; speriamo di poter attingere a fondi welfare (per l’asilo nido, doposcuola). Il contratto è un passo avanti, bisognerà vedere come il Governo intenderà la questione di questi fondi».
MATERNITÀ E WELFARE
Dall’ultimo rapporto Save The Children emerge la fotografia di un’Italia in cui le donne diventano madri sempre più tardi - più o meno a 32 anni – che hanno sempre meno figli (in media 1,3 nel 1970 erano 2,4). Donne che “a causa” della condizione, diventare mamma, sono costrette a rinunciare al lavoro e/o al tempo libero (siamo al penultimo posto per tasso di occupazione femminile dell’Unione Europea, 49%, penultimi dopo la Grecia, la media europea è è all’82° posto sotto il Ruanda e le Filippine. Secondo il Mothers’ Index italiano a 3 indicatori - cura, lavoro, servizi - diventare madre nel nostro Paese significa ancora mettere a rischio la propria condizione economica, sociale, professionale, discrimine che può ulteriormente peggiorare a seconda della regione di provenienza: il 37% delle mamme tra i 25 e i 49 anni risulta inattivo (il numero sale al 44% se si prende in considerazione la fascia d’età 15-64). Nel primo anno di vita del figlio, il 14% abbandona il lavoro. Ma il punto non è solo il mantenimento del posto ma anche l’accesso al mercato del lavoro e la vexata quaestio della connessa retribuzione: il «pay gender gap», sulla carta abolito, vede l’Italia al 103° posto per disparità nel reddito, considerando ogni giorno lavorato, nonostante le donne superino gli uomini: 512 minuti contro i 453 di un collega. Quasi 30.000 donne si dimettono per¬ché non riescono a conciliare un figlio (sotto i 3 anni) con il lavoro, magari per mancato accesso all’asilo nido (in Italia solo il 12,6% dei bambini frequenta un nido, il 45% dei Comuni non offre alcun servizio pubblico). Discorso analogo per le donne manager under 50, delle quali solo una su 2 riesce a conseguire il cosiddetto work-family-life balance. Oltre alle ulteriori difficoltà che subisce il “Pianeta donna”: dal rapporto Istat sessismo sul luogo di lavoro e molestie nel biennio 2015-2016 circa 1 milione e 404 mila donne, soprattutto le più giova-ni e istruite, hanno subìto molestie fisiche o ricatti sessuali sul luogo di lavoro. L’occupazione femminile è del 18% più bassa rispetto al tasso di occupazione maschile (il divario in UE è del 10%); 1/3 delle occupate ha un lavoro parttime, cosa che potrebbe anche essere conveniente in termini di benessere e gestione del tempo familiare, solo che nel 59% il part-time è “involontario” ovvero accettato in assenza di occasioni di lavoro a tempo pieno. Secondo l’ultimo Rapporto Istat, in assoluto sono le donne a trascinare la crescita occupazionale (+1,6% contro il +0,9%), ma il loro peso sul totale occupati (48,9%) è di 13 punti inferiore alla media europea (62,4%). Il quadro d’insieme appare buono per i lavoratori Ho.Re.Ca.
COSA SUCCEDE NEL NOSTRO SETTORE?
Nel 2017, l’incremento dell’occupazione nel terziario (+1,5%) ha interessato, tra gli altri, proprio i servizi legati al settore alberghiero e alla ristorazione. Anche in termini di contratti, sta crescendo il lavoro dipendente (+2,1%) si sta riducendo quello indipendente (-1,9%). Mentre aumenta il lavoro atipico, dipendenti a termine (+298 mila unità, +12,3%) residenti soprattutto nelle regioni centro-settentrionali e i giovani fino a 34 anni, continuano a diminuire i collaboratori (-46.000 nell’ultimo anno). Nel complesso, 6 atipici su 10 hanno un contratto con una durata inferiore all’anno; il 17% ha un contratto di un anno; 1 atipico su 4 è impiegato nei settori del commercio, alberghi e ristorazione. Quasi 1/3 degli atipici ha tra i 35 e i 49 anni, i lavoratori genitori sono il 36,3% sul totale. E se è vero che gli occupati part-time superano i 4,3 milioni, sono donne in 3 casi su 4, ovvero il 73,0%. Se vogliamo che la questione esca dall’alveo delle quote rosa e approdi a una parità, non di facciata, forse occorrerebbe parlare di lavoro e famiglia, uomini e donne. Tutti semplicemente persone.
(Mauro Garofalo)
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