18 Marzo 2014
Con Clarence Seedorf, Antonio Cassano, Roberto Donadoni, Antonio Conte, Fabio Capello, Lionel Messi, Ronaldo e molti altri.
1. “IO NON TIFO ITALIANO”. Da martedì scorso non ci sono più squadre italiane in Champions League. Da giovedì prossimo, in Europa League ne resteranno nella migliore delle ipotesi due, nella peggiore una. Ma al di là del rammarico per il declino del calcio italiano, il tifoso medio deve dolersene? In altre parole: esiste davvero questo obbligo morale – che i media ci suggeriscono, o meglio danno per scontato – di tifare per qualsiasi club italiano, anche se non è il proprio? Tifare sistematicamente contro le squadre italiane di sicuro non è il massimo della sportività, anche se in un’ottica di tifo è pratica da considerare legittima (il tifoso è innanzitutto tifoso; solo poi, eventualmente, sportivo). Ma tifare sistematicamente a favore delle squadre italiane, di tutte le squadre italiane: perché? Si tratta di club, non di squadre nazionali. Club che rappresentano solo se stessi, e al limite la città di cui portano il nome. Club in cui quasi sempre giocano più calciatori stranieri che italiani (e anche questo, a dispetto di chi lo trova sconveniente e poco patriottico, è perfettamente legittimo). E allora perché, mettiamo, un tifoso del Palermo dovrebbe per forza preferire la Juventus o la Fiorentina al Bayern o al Paris Saint-Germain?
2. I MONDIALI AI TEMPI DELLA GLOBALIZZAZIONE. Peraltro, il calcio delle nazionali sta già da tempo perdendo di importanza rispetto a quello delle squadre di club. Ma in questo caso c’è poco da discutere, perché la spiegazione è chiara: il calcio delle nazionali perde importanza perché perdono importanza le nazioni.
3. EUROPARMA, MILAN COTTO. Se non fosse che il Parma si chiama Parma e il Milan Milan, non ci sarebbe niente di strano nel 4-2 che gli estensi hanno rifilato ai rossoneri a San Siro. Limitandosi solo al girone di ritorno – che coincide con l’inizio della gestione Seedorf, prima di domenica scorsa il Milan aveva totalizzato 13 punti in 8 partite, il Parma 17 in 7 (manca il match con la Roma, rinviato per maltempo). E se si considerano anche le ultime partite dell’andata, il divario diventa ancora più imbarazzante. Tutto normale, quindi: parlano i numeri, che nel calcio contano più del blasone. Poi però c’è il fattore umano, e quello ci porta a parlare di due protagonisti di questa vittoria: Antonio Cassano e Roberto Donadoni. Entrambi con un passato nel Milan. Il primo, coerente con la sua carriera, ha scialato allegramente un po’ del suo talento anche dalle parti di Milanello. Poi però ogni tanto si ricorda di essere un campione e un adulto, e allora assesta velenosi gol da ex. Il secondo, da giocatore, ha fatto la storia del Milan. Da allenatore per ora ha ottenuto grandi risultati solo in piccole piazze. Cassano dal Milan con ogni probabilità non ripasserà mai più. Donadoni chissà.
4. IL CARRO DEL VINCITORE. Intanto la Juventus ha virtualmente vinto il campionato. La maggiore preoccupazione di Conte sembra ora essere quella di sottolineare l’eccezionalità di un’impresa che – proprio perché conseguita troppo rapidamente – rischia di venire data per scontata. E, soprattutto, Conte ci tiene a valorizzare i propri meriti. Un’esigenza, quest’ultima, che ogni tanto lo porta, quasi inconsapevolmente, a sminuire la società che lo paga. Come quando, alcune settimane fa, in polemica con Fabio Capello ha evocato Calciopoli (diventando l’idolo degli interisti!) o come quando sottolinea le somme non faraoniche investite in campagna acquisti (dimenticando sempre però che la Juve è il club italiano col fatturato e col monte stipendi più alti). Peraltro la Juve nel 2014 non ha quasi mai convinto appieno. Ma i bianconeri possono stare tranquilli: l’appannamento non ha inciso sui risultati e sulla classifica, e non c’è motivo di pensare che lo farà da qui alla fine del campionato. Invece le inseguitrici – colpite da medesimo calo di qualità – hanno dimostrato di riuscire a vincere quasi solo quando giocano molto bene. Buona parte della differenza di punti si spiega così.
5. ROVESCI DI FORTUNA. Messi in trattativa per il rinnovo del contratto. Messi che non ha vinto il Pallone d’Oro. Messi che non è più il migliore del mondo. Messi alla sua peggior stagione nel Barcellona. Messi – fatto decisamente inquietante – che vomita in campo e non sa perché. A nessuno è venuta in mente l’immagine di Ronaldo (non Cristiano, l’altro…) che scende la scaletta dell’aereo a passi malfermi?
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A cura di Matteo Cioffi
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