25 Marzo 2014
Con José Mourinho, Arsene Wenger, Walter Mazzarri, Jack Bonaventura, Rafa Benitez, Rudi Garcia e molti altri.
1. IL CAPPOTTO DI MOURINHO. In Italia è tornato il freddo, ma il cappotto questo weekend si è visto a Londra: sei a zero del Chelsea all’Arsenal di Wenger, che festeggia così nel modo peggiore le sue mille panchine con i Gunners.
http://video.sky.it/sport/fox-sports/chelseaarsenal/v192672.vid
Perdere sei a zero non è mai facile, ma quanto più difficile deve esserlo contro Mourinho, quando, come nel caso di Wenger, di Mourinho sei un rivale dichiarato? Chelsea-Arsenal fra l’altro è un derby, anche se il concetto di derby a Londra è molto sfumato, visto l’alto numero di club presenti in città. Un derby vero fu invece quello della Madonnina dell’11 maggio 2001, in cui il Milan batté l’Inter (un’Inter pre-Mourinho…) con il medesimo risultato tennistico di Stamford Bridge.
2. I DOLORI DI MAZZARRI. Quando si prendono sei gol, una delle poche consolazioni possibili è pensare “meglio una sconfitta rotonda che tante di misura”. In fondo ogni partita persa vale zero punti, a prescindere dal numero di gol subiti. Pensiero troppo razionale, che prescinde dall’aspetto emotivo. Ci sono sconfitte che fanno più male di altre: sono quelle che sono troppo nette e quelle che lo sono troppo poco. All’Inter (ancora lei) domenica scorsa contro l’Atalanta ne è capitata una del secondo tipo: gol subito al 90’ dopo aver colpito quattro legni e sciupato mille occasioni. Quando si spreca troppo (per imprecisione o per sfortuna) si viene puniti: è la più antica legge del calcio, certo, ma il saperlo non consola.
3. I PARADOSSI DI BENITEZ. Chissà se Mazzarri è ancora convinto della sua scelta di andare all’Inter lasciando il Napoli. Un Napoli che curiosamente, dopo aver cambiato allenatore e mezza squadra, sta conducendo un campionato molto simile al precedente, non solo come punti totalizzati (al momento 58 contro i 56 dell’anno scorso) ma anche come andamento generale (partenza sprint e frenata in inverno, punti persi con le piccole squadre). Non è questo l’unico paradosso del club partenopeo. Nello scorso numero avevamo scritto di come Roma e Napoli, a differenza della Juventus, riuscissero a vincere solo quando giocano bene. Resta valida la considerazione sulla maggiore regolarità dei bianconeri, ma nelle ultime settimane per gli azzurri si sta verificando un paradosso: vince quando gioca peggio delle avversarie (Napoli-Swansea 3-1, Napoli-Roma 1-0, Torino-Napoli 0-1), non vince quando gioca meglio (Napoli-Genoa 1-1, Napoli-Porto 2-2, Napoli-Fiorentina 0-1). In particolare le ultime due partite, quelle che hanno privato gli azzurri di due dei tre loro obiettivi (l’Europa League e, salvo rimonte clamorose, il secondo posto) sono state fra le migliori della stagione. Meglio il bel gioco, allora, o i risultati? La risposta a questa domanda determina la differenza fra spettatori e tifosi.
4. UN ALTRO SPORT. Di bel gioco se n’è visto a iosa domenica sera a Madrid, per il “Superclásico” spagnolo fra Real e Barcellona. Quattro a tre per i catalani e, dall’Italia, una pioggia di complimenti misti ad ammissioni di inferiorità del calcio nostrano. “Sembra un altro sport” è stato uno dei commenti più diffusi. Un “clásico” anche questo, ormai.
5. CHI HA AMMAZZATO IL CAMPIONATO? La Liga spagnola, e non solo quella, è più spettacolare del campionato italiano. Non solo per il tasso tecnico e l’intensità, o per i sette gol di domenica sera al Bernabeu (dovuti in parte a imprecisioni difensive) ma anche per gli spalti pieni, e soprattutto per l’incertezza della classifica. Infatti in Spagna – storicamente abituata ai monologhi o alle corse a due – le prime tre squadre sgomitano nello spazio di due punti, mentre in Italia – un tempo fra i campionati più incerti d’Europa – la prima e la terza sono separate da venti punti, la prima e la seconda da quattordici. In testa è tutto deciso: merito della Juventus (tredici punti in più rispetto al già vincente campionato scorso) e colpa delle milanesi (l’Inter a -3 e il Milan addirittura a -18 rispetto ai già non esaltanti piazzamenti di un anno fa). Tutto ciò rischia di offuscare i meriti della Roma di Rudi Garcia (+17 con una partita in meno), che negli ultimi anni ha la sfortuna di veder coincidere le sue migliori stagioni con la presenza di squadre ammazzacampionato.
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A cura di Matteo Cioffi
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