30 Maggio 2014

Stephan Pramstrahler: la tradizione è l'antidoto alla crisi

di Nicole Cavazzuti


Stephan Pramstrahler: la tradizione è l'antidoto alla crisi

Lo chef e patron del Romantik Hotel Turm di Fiè allo Sciliar (BZ) Stephan Pramstrahler consiglia ai colleghi di tornare al passato e di proporre ricette tradizionali con materie prime del territorio

Da sempre per differenziarsi dalla concorrenza punta su km0, stagionalità e rispetto della tradizione gastronomica del territorio. Risultato? Nonostante la crisi, continua a crescere. Chef e patron del Romantik Hotel Turm di Fiè allo Sciliar (BZ), Stephan Pramstrahler rappresenta la terza generazione di ristoratori. E ai colleghi consiglia: «Tornate al passato. Oggi la vera novità è proporre ricette dei nostri avi con materie prime della zona».

Stephan02Come contrastare gli effetti della crisi?
«Parola chiave è intelligenza. La prima regola è non temere la crisi: l’imprenditore vincente, anche nei periodi difficili, non abbassa mai la guardia, non rinuncia all’innovazione e non sacrifica la qualità. Lo dicono tutti, ma in realtà pochi lo fanno. Personalmente, poi, punto su ricette e prodotti locali e rifuggo gli ingredienti etnici. Che, tra l’altro, sconsiglio: di moda negli anni passati, sono già in fase di declino».

E cosa suggerisci per incrementare la clientela?
«Primo, non lavorare mai con l’obiettivo di ottenere riconoscimenti stellati o di apparire sulle guide turistiche, ma per regalare un’esperienza di buona cucina. Secondo, ascoltare l’avventore e non imporgli le proprie scelte. Terzo, ricordarsi che un buon piatto non basta: una serata speciale nasce da un insieme di fattori, tra cui l’ambiente piacevole, il servizio cortese e il tipo di clientela che frequenta il locale. Infine, è utile organizzare un programma di attività variegate: noi, per esempio, proponiamo regolarmente corsi di cucina, settimane della buona tavola per buongustai ed escursioni culinarie ai rifugi per gli amanti della natura. A luglio, per esempio, è in programma un trekking culinario da Nord verso Sud, di baita in baita nel paradiso delle Dolomiti».

I segreti per organizzare il menu?
«Dal punto di vista pratico, meglio differenziare la carta tra pranzo e cena e limitarsi comunque a poche proposte a rotazione quindicinale, con un piatto del giorno introdotto in base alle materie prime. Ovviamente, il menù del lunch deve essere più leggero, perché i clienti non vogliono appesantirsi. Quanto all’obiettivo, deve restare sempre la promozione della cultura del cibo e della buona tavola. In che modo perseguirlo, è una scelta personale. Oggi, per esempio, c’è la tendenza alla rivisitazione in chiave moderna delle ricette del passato. Io, invece, punto sulla tradizione, sinonimo di esperienza e di bontà. Perché, diciamolo: non tutto quello che è strano è buono!».

Nel tuo menu c’è sempre...?
«Almeno un piatto alle erbe di montagna, come la zuppa a base di infuso di fieno, con patate e porri passati e un tocco di panna acida, servita con fiori e pane di segale».
È vero che acquistare materie prime del territorio permette di risparmiare?
«No, ma se le utilizzi con intelligenza diventano uno strumento indispensabile per differenziarti dalla concorrenza. Ormai quasi nessuno propone piatti locali tradizionali con materie prime a km0 secondo le ricette dei nostri antenati. Da noi, in certi periodi, è più facile trovare un cuoco capace di preparare il sushi che il canederlo!».

stephan pramstrahlerUno sguardo ai metodi di cottura...
«Non si può generalizzare. Per quanto concerne le carni tenere, per esempio, sono per le cotture tradizionali. Oggi si parla parecchio di bassa temperatura e tecnica del sottovuoto. La mia opinione? Utili innovazioni, da usare però con estrema cautela. Il rischio è trasformarle in un sistema di preparazione per qualunque pietanza, con il risultato di una triste omologazione e uniformità dei piatti».

Quali ingredienti non possono mancare in cucina?
«Parmigiano, sale, pepe e vino, per conferire un po’ di acidità».

A proposito di vino. Tu sei anche produttore...
«Il vino è il segno del mio maso. Abbiamo tre ettari e mezzo e produciamo 30 mila bottiglie. Ci siamo concentrati su quattro etichette, vinificate ed affinate nella vicina cantina Gumphof di Markus Prackwieser, ed etichettate sotto il nome di Maso Grottner: il Pinot Nero “Corax”, il Sauvignon “Bubo”, il Gewürztraminer “Tetrix” e il Pinot Bianco “Pica”. Li vendiamo ai clienti del ristorante, a qualche collega della zona e nei magazzini Harrod’s a Londra».

L’ABC per impostare la carta dei vini?
«Intanto, deve essere sempre semplice e chiara nella grafica e nei contenuti. Meglio puntare sui vini della zona, senza scordare comunque proposte di altre regioni e qualche etichetta straniera. E se ogni ristoratore deve assecondare le esigenze della propria clientela, per garantire una scelta adeguata non scenderei mai sotto le 100 etichette, tra bianchi, rossi, bollicine e vini da dessert. Un consiglio: non improvvisate. Se non ve ne intendete, affidatevi alle guide piuttosto che cercare da soli i piccoli produttori. Per comprare bene, occorre conoscere in profondità il prodotto».

Il segreto per far girare tutti i vini, anche i più cari?
«Affidarsi a un bravo sommelier. E poi, tenere presente che il margine di carico deve essere regolato in base al prezzo del vino all’ingrosso. Se acquisti una bottiglia a 8 euro puoi venderla anche a 20, ma se la compri a 50 dovresti offrirla a 65 per stimolare le vendite. Molti colleghi, invece, acquistano a 50 e vendono a 150. Risultato? I vini costosi restano fermi in cantina».

TAG: RISTORANTI,CHEF

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