05 Gennaio 2015
Chiacchiere e polpette, arancini e panelle, misto di paranza e tempura, gran fritto alla piemontese, fish & chips e bomboloni, panzerotti, cannoli, empanadas, falafel e seadas. Sono ricette dolci e salate di tradizioni culinarie diversissime, che in comune hanno la modalità di cottura: la frittura. Una pratica intramontabile se, dopo oltre 2500 anni di storia (pare che la utilizzassero già gli Egizi, ma le prime notizie certe vengono dall’antica Roma) e nonostante gli allarmi dei nutrizionisti è sempre tra le più amate da grandi e piccini. Trasversale simbolo della gastronomia “povera” e tradizionale, la cottura nell’olio è in realtà usata in tutte le cucine, anche per quel singolo ingrediente capace di dare più carattere al piatto.
La frittura è protagonista in due stili culinari di tendenza degli ultimi anni. Il Finger Food, che vede nella velocità che non rinuncia alla creatività il suo punto di forza. E quello Street Food in grande spolvero, vecchio come il mondo, baluardo della tradizione culinaria di ogni Paese, riproposto in modalità più o meno originali e, per sua stessa natura, nomade. Tanto che i noodles saltati spargono aromi nei mercatini londinesi e il fish&chips compare sulle strade di Madrid. La frittura è prima di tutto versatile. Può essere tradizionale ma anche creativa, come le 60 ricette proposte dal due stelle Michelin Emanuele Scarello in Fritture. Dall’antipasto al dessert (Italian Gourmet) “golose sorprese racchiuse in un involucro croccante”. Ed è proprio questo involucro la chiave di tanto successo e golosa bontà. L’olio infatti raggiunge temperature maggiori dell’acqua, che a 100°C evapora: 180°C o anche più. A queste temperature la superficie esterna dell’alimento forma una crosticina che impedisce il passaggio di olio all’interno e la fuoriuscita di acqua. Prima si forma la crosta e meno olio sarà assorbito dall’alimento. È la cosiddetta reazione di Maillard che si innesca sopra i 140 °C. Sono pochi, ma fondamentali, gli accorgimenti che fanno la differenza tra un buon fritto croccante e leggero e uno grondante di grassi, molliccio e indigesto.
«Ci sono due segreti per una buona frittura - spiega Danilo Angè, chef, consulente e formatore - i grassi utilizzati e la temperatura del grasso, che varia a seconda di che cosa si frigge. Normalmente si usano i grassi che hanno un punto di fumo (la temperatura alla quale l’olio comincia a decomporsi, ndr) più alto. Come lo strutto: considerato poco sano da medici e dietisti, conferisce un’ottima fragranza. L’olio extra vergine di oliva, fra gli oli più stabili, è ben accettato dai dietisti ma ha due problemi: un costo alto specie per un certo tipo di ristorazione e anche il gusto, che influisce sulla preparazione finale e che dipende dal cultivar. Un olio leggero di taggiasca o del Garda può andare bene per tutto, uno dal gusto più intenso può sposarsi ad esempio ai carciofi, ma non ai gamberi. Se non si vogliono interferenze di gusto ci sono gli oli di semi, di arachidi, nocciola, anch’esso piuttosto caro, e riso, ottimo, o anche di soia, che personalmente non amo perché quando si scalda emana un odore di pesce. Ci sono poi i mix di semi diversi, stabili perché pensati appositamente per la frittura, come quelli di palma e girasole». Dalla cucina molecolare arriva una curiosità; la frittura con il glucosio. Acquistato in polvere (tra l’altro costa anche poco) va sciolto in poca acqua a fonde tra i 160 e i 190 °C: temperatura ideale per friggere. Il leggero sapore dolciastro che rimane sulla crosta così formata può essere utilizzato per un effetto agrodolce o evitato avvolgendo l’alimento in un involucro vegetale (ad esempio una foglia di verdura).
Gli oli e i grassi sottoposti a trattamenti termici subiscono una complessa serie di trasformazioni chimiche, sviluppando sostanze dannose per la salute, come l’acroleina. Oltre alla temperatura, che deve rimanere sotto il punto di fumo, tali trasformazioni sono legate all’uso prolungato. Ma quante volte si può riutilizzare un olio? Secondo Angè non esiste una regola assoluta: «Dipende da quanto e cosa si frigge, dalla quantità e dal tempo di frittura. Se friggo con una pastella o una panatura l’olio si degrada più velocemente. Esiste comunque una macchinetta con una sonda che, inserita nell’olio, avvisa quando è degradato. Un investimento che consiglio a chi frigge molto». Del resto, come ricorda la circolare del Ministero della Salute, “un olio molto usato si può già riconoscere all’imbrunimento, dalla viscosità e dalla tendenza a produrre fumo durante la frittura”.
Un “effetto collaterale” della frittura al ristorante è quello del tipo “friggitoria fast-food”, l’odore di fritto che dilaga nel locale e fa scappare i clienti. «Per evitarlo ci sono alcuni accorgimenti, - dice Angè - . Usare oli poco aromatici e avere un sistema di aspirazione efficiente, prima di tutto. C’è poi una nuova friggitrice con coperchio che fa passare solo il vapore e abbatte del 70% la fuoriuscita di odori. La cottura è controllata da un timer, ma alcuni cuochi la ritengono scomoda per cuocere alimenti con tempi di cottura diversi che vanno a confluire nello stesso piatto». Niente di insuperabile dunque. Nonostante i dictat dell’alimentazione sana, insomma, il fritto piace ancora, e tutto l’anno. Come a dire che davanti a una buona frittura croccante e leggera, asciutta e non unta, la gran parte dei clienti capitola.
Il libro
Un libro a misura di chef che propone oltre 60 ricette elaborate con step fotografici di esecuzione, ma che racconta anche il segreto della frittura perfetta attraverso le nozioni base sulla preparazione degli alimenti prima di immergerli in olio bollente e che tratta dettagliatamente dei diversi tipi di grassi da frittura: dall’olio di arachide al burro chiarificato, dall’extravergine d’oliva all’olio di noci, passando attraverso quello di riso o di soia. Niente è dunque lasciato al caso, come nella dettagliata tabella che riporta l’esatto punto di fumo di oltre 50 tipologie di grassi da frittura. Il volume, fa parte della collana iTecnici, a cura di Allan Bay. Emanuele Scarello, Fritture. Dall’antipasto al dessert Edito da Italian Gourmet, costa 73 euro.
L’idea
Il fritto più trendy? Viaggia sull’Ape. Pioniere di questa idea che ha fatto presto seguaci (a Londra è stata segnalata un’Ape con un forno per pizza) è Luca Luxardo, che di fronte alla sua enoteca di Bonassola, location chic alle porte delle 5 Terre, ha parcheggiato un’Ape Calessino rosso fiammante che vende un solo prodotto: il cartoccio di frittura di totani e acciughe liguri. A 5 euro a porzione per 1,5 hg di prodotto. Ma come è stato possibile realizzare tutto ciò? «Ho pensato di fornire un fritto di qualità, su strada. E l’idea è piaciuta. L’Ape è attrezzata con due friggitrici Magic Cooker da 9 litri che lavorano a bassa temperatura, 130°C, con olio di girasole di Qualitaly (fornito da GF2 di Levanto). Ha un piccolo generatore e può essere spostato anche in occasione di eventi o feste. Per ora è davanti alla mia enoteca che ha un buon ritorno: la clientela abbina volentieri al fritto un bicchiere di bianco. E poi era un modo per proporre la frittura che evito nel mio ristorante, dove cucino il pesce in altri modi. Adesso utilizzare l’Ape è diventata una moda ma la nostra è esteticamente bella, attira l’attenzione. Ovviamente il mezzo limita, non si può cucinare di tutto o allestire una cucina vera e propria». Il prossimo step? «Ampliare magari anche in occasione dell’Expo di Milano, gestendo però gli Ape direttamente, perché l’importante è che la qualità della proposta resti alta, anche quando aumentano i volumi: solo così può funzionare». Solo pesce quindi? «Ho provato anche con le verdure pastellate, ma il pesce, e in particolare il totano, è quello che piace di più».
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