24 Novembre 2015
La prima cosa importante da sapere è che la strategia dei prezzi di vendita dovrebbe tenere presente tutti i costi flessibili e variabili del locale: «Per stabilire il drink cost bisogna calcolare il costo delle materie prime per il cocktail -inclusa la guarnizione e il tipo di ghiaccio usato- ma anche conoscere le spese di gestione del locale -dalle bollette al personale, fino all’affitto- e il tempo di preparazione del cocktail.
[caption id="attachment_89307" align="alignleft" width="228"] Luca Picchi[/caption]
Non solo: è utile fare una stima delle possibili perdite economiche provocate dalla rottura di bicchieri e di bottiglie di valore», chiarisce Luca Picchi capo barman dello storico caffè Rivoire in piazza della Signoria a Firenze «Insomma, a influenzare il prezzo del drink sono più fattori: certamente ha un notevole peso la qualità delle bottiglie degli spirits e delle materie prime - l’utilizzo di ingredienti premium può anche duplicare i costi-, ma contano pure la posizione e le dimensioni del locale, nonché l’esperienza e la professionalità -e di conseguenza il compenso- dei dipendenti», aggiunge.
[caption id="attachment_89308" align="alignright" width="262"] Riccardo Nardone[/caption]
Il drink cost è condizionato anche dall’offerta di food per accompagnare il drink: «Il prezzo del cocktail sale quando durante l’happy hour si offre il buffet libero o un piatto di finger food di qualità. Per contenere le spese senza mettere in discussione la qualità occorre ridurre le porzioni», osserva il barman Riccardo Nardone, che ha curato il lancio e la carta cocktail del T’A, il nuovo locale di Tancredi e Alberto Alemagna a Milano.
E sulla stessa linea è Filippo Sisti, barmanger di Carlo e Camilla in Segheria, a Milano: «I cocktail bar che applicano la formula dell’happy hour con drink e buffet libero a 8 o 9 euro vanno in perdita inevitabilmente, a meno che non utilizzino prodotti di bassa qualità. Per ottenere un guadagno e usare materie prime premium bisognerebbe fare pagare tra i 15 e 20 euro», tuona. Tenete presente poi che i prezzi non devono solo coprire i costi e garantire un margine di guadagno, ma essere anche in linea con il target di riferimento del locale: «In questa logica un cocktail bar che aspiri all’esclusività e a una clientela con alta capacità di spesa manterrà servizi, qualità e prezzi più alti della concorrenza proprio per scremare il pubblico», chiarisce Nardone.
[caption id="attachment_89309" align="alignleft" width="200"] Filippo Sisti[/caption]
Ma come contenere i prezzi dei drink e mantenere una buona qualità di spirits? Filippo Sisti non ha dubbi: «Fondamentale, è conoscere davvero le materie prime e lavorarle in sinergia con la cucina. La capacità di manipolare e trasformare prodotti anche poveri permette di risparmiare e di garantire alta qualità. Attenzione, però: per farlo con esito servono competenza e organizzazione. Nonché molto tempo: per esaltare i drink con affumicature, infusioni, carbonature, invecchiamenti, macerazioni, fermentazioni e profumi, occorrono in genere tra i quattro e i cinque giorni di lavoro».
[caption id="attachment_89310" align="alignright" width="263"] Diego Re[/caption]
Sulla stessa linea il barman Diego Re, trainer Planet One Milano e Metro Academy, e responsabile dell’Open di Como: «La parola chiave è razionalizzazione: è essenziale annullare gli sprechi e utilizzare nella sua totalità ogni ingrediente, sfruttando la cucina qualora il locale ne sia dotato. Così, per esempio, io recupero il bagnomaria dei gamberetti e lo trasformo in zucchero liquido e preparo il Black Russian con vodka aromatizzata al caramello e con kahlua aromatizzata alla cannella, servito con il tiramisù della casa (14 euro)».
[caption id="attachment_89311" align="alignleft" width="300"] Giuseppe La Sala[/caption]
Per il barman siciliano Giuseppe La Sala, responsabile del bar del Baia Tre Torri di Trapani, la strategia per tagliare i costi passa attraverso la valorizzazione delle materie locali: «Per risparmiare, senza mettere a repentaglio la qualità, io punto sui prodotti del territorio. Per esempio, uso il Passito di Pantelleria al posto del Vermouth Rosso per creare una variante del classico Negroni, che ho chiamato Negroni Siciliano». Chiudiamo con una riflessione: se il costo degli ingredienti di un cocktail incide sul prezzo finale, i drink (come le pizze) dovrebbero avere prezzi diversi tra loro. Perché di fatto non accade quasi mai?
[caption id="attachment_89312" align="alignright" width="203"] Matteo Zed[/caption]
A rispondere è Matteo Zed patron del VOY Restaurant & ‘Little Jumbo’ Cocktail Bar di Roma: «La ragione risiede nell’indole approssimativa tipica di noi italiani. Si fissa un prezzo uguale per tutti i cocktail per consuetudine, pigrizia, ignoranza e comodità. Mi spiego: in questo modo si dà un colpo al cerchio e uno alla botte, guadagnando tantissimo dove si spende poco e recuperando sui drink più dispendiosi. Diciamo la verità: il problema è che in Italia, salvo eccezioni, manca una seria cultura di bar management che invece è diffusa a Londra e New York».
I PREZZI DA NORD A SUD
COMO drink cost del Negroni per tipologia di bar
(analisi del barman Diego Re)
MILANO drink cost del Negroni per tipologia di bar bar
(analisi del barman Filippo Sisti)
FIRENZE drink cost del Negroni per tipologia di bar
(analisi del barman Luca Picchi)
ROMA drink cost del Negroni per tipologia di bar
(analisi del barman Matteo Zed)
TRAPANI drink cost del Negroni per tipologia di bar
(analisi del barman Giuseppe La Sala)
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