26 Gennaio 2016
Gelatine commestibili luminose, una sedia di tofu o uno snack di insetti, un porridge di lumache e un biscotto indossabile sul dito pronto ad essere immerso nella Nutella; un uovo Ogm a base piatta e un cyber egg. Sono installazioni artistiche, articoli già in vendita e piatti di chef stellati: ma qual è arte, quale prodotto o piatto? Le distinzioni sono sfocate. Il food design è una disciplina recente (il primo progetto considerato tale, le Techno Tapas di Martì Guixé, è del 1997) che applica le logiche del design (estetica, funzionalità, innovazione, interpretazione della società) al cibo. Oggi, sconfinata nel design industriale e nelle cucine dei ristoranti stellati, promette di uscire dalla gabbia dorata delle gallerie d’arte e di sporcarsi le mani nel mondo reale della ristorazione e dell’alimentare.
[caption id="attachment_93507" align="alignleft" width="300"] Neon Jelly, architetture di gelatina realizzate per la prima volta al festival di architettura di Londra; la migliore è stata selezionata dagli chef Heston Blumenthal e Maxwell Hutchinson[/caption]
Il nuovo ruolo del cibo Il modo in cui viene presentato il cibo ha sempre avuto una grande influenza in cucina, pensiamo alla nouvelle cuisine. Negli ultimi anni però il cibo ha assunto una valenza particolare. Da necessità quotidiana è diventato identità, status symbol, ha sostituito la politica e forse anche la scienza come aspirazione, argomento di conversazione. Approfittando anche dei suoi legami con argomenti “caldi” come la salute e la sostenibilità ambientale. I cuochi sono diventati star, il cibo oggetto di culto, la ricerca dell’ingrediente genuino e naturale o del ristorante del giovane talento emergente un’ossessione, le foto di piatti su Instagram e Facebook una necessità, il cibo sembra aver rimpiazzato l’arte come religione laica di questo inizio del terzo millennio. La riflessione sul cibo e sui suoi risvolti occupa da alcuni anni le produzioni dei primi, pioneristici food designer, che finora hanno avuto più legami con l’arte contemporanea e il design industriale che con il cibo di tutti i giorni. Ma poi le cose sono cambiate, e dai musei e dalle gallerie il food design è arrivato nelle cucine stellate, grazie a chef “impegnati” come Ferran Adrià o René Redzepi. E da qui, ha iniziato ad influenzare la ristorazione e l’industria, almeno nei suoi aspetti più “formali”. Con la grande kermesse di Expo a dare una mano e portare il tema - alimentazione, sostenibilità, energie per la vita - alla ribalta.
[caption id="attachment_93508" align="alignright" width="300"] Il “cornetto fluorescente” di Bompass & Parr nasce da una collaborazione con l’azienda di gelati Wall’s ed è stato distribuito alla prima del film “La fine del mondo” al Vue Cinema di Leicester Square, Londra[/caption]
L’accelerazione degli ultimi anni Tra i food designer più noti al mondo c’è Francesca Sarti di Arabeschi di Latte, collettivo che si divide tra Milano e Londra. A lei abbiamo chiesto lumi sullo “stato dell’arte” della disciplina. “Il food design negli ultimi quattro anni ha subito un’accelerazione, superando il fatto puramente estetico e formale ed è passato a lavorare sul racconto, la gestualità, il messaggio a partire dal cibo. Non più mera creazione artistica, il cibo diventa strumento per trasmettere qualcosa: un’emozione personale o una tematica globale o sociale. Anche l’attenzione all’origine e al processo è fondamentale. In questo vedo un’alleanza possibile con gli chef. Un esempio nella ristorazione? René Redzepi del Noma, con la sua attenzione per l’elemento magico e la naturalezza dell’ingrediente”.
[caption id="attachment_93509" align="alignleft" width="282"] La Tofu Chair di Leonardo Talarico, realizzata con panetti di tofu disidratato, un materiale molto resistente[/caption]
Chef e food designer diversi e sinergici In teoria lo chef sta al food designer come l’artigiano sta al designer: ma è proprio così? Certo si può essere grandi cuochi senza farsi troppe domande sul significato sociologico delle proprie creazioni. Allo stesso tempo, è indubbio che la forma e la presentazione di un piatto influenzino il gusto e la percezione del cliente, oggi più che mai informato e bombardato di immagini e suggestioni da tutto il mondo. Il food designer non è un cuoco né un agricoltore, tanto meno un critico gastronomico; è però, secondo una definizione di Marije Vogelzang della Design Academy Eindhoven, un “agente di collegamento, che può collaborare con tutte queste professioni per contribuire con idee creative a risolvere dei problemi”. Data l’importanza che ha assunto il cibo nell’immaginario collettivo anche di massa (il successo di trasmissioni tv e corsi di cucina lo dimostra) è facile pensare che il design giocherà un ruolo sempre più importante nelle proposta alimentare. Non solo a livello industriale: l’avvento di stampanti 3D in grado di trattare alimenti come cioccolato, pasta e gelato, renderà la forma degli alimenti sempre più libera e personalizzata. Ma in primo piano ci saranno tematiche ormai ineludibili come la sostenibilità e la salute. Affrontate tramite nuovi concept ma anche nuove porzioni più corrette e sostenibili, per l’ambiente e per l’organismo umano, o ingredienti e tecniche di trasformazione inedite, o antiche e dimenticate.
[caption id="attachment_93510" align="alignright" width="228"] The Vinyl Factory è stata parte di un evento che univa musica live, coreografie generate da un robot, cibo e allestimenti di Arabeschi di latte[/caption]
Come l’hamburger di alghe proposto in decine di ristoranti belgi e olandesi e al padiglione Olanda a Expo. In tutto ciò, in che direzione sta andando il cibo? Ce lo dice Francesca Sarti: “Sicuramente va verso il passato, verso un rapporto e una conoscenza diretta della materia, ma anche del produttore; sarà sempre più importante scoprire la vita e la materia, proiettandola nella contemporaneità”.
Le scuole: food designer non si nasce, si diventa
Una volta i food designer erano architetti, designer, artisti. Solo negli ultimi anni sono nati corsi specifici dedicati alla disciplina, all’interno di importanti università. In Italia c’è il master universitario di Food Design, organizzato da Scuola Politecnica di Design e IULM e sponsorizzato da PepsiCo, mentre al Pratt Institute di New York è partito Food Design Studio, un corso semestrale del dipartimento di industrial design. La Design Academy Eindhoven ha istituito un dipartimento apposito, Food Non Food. Scuole che sforneranno food designer pronti a portare la disciplina verso nuovi orizzonti.
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