14 Marzo 2016
Soltanto due anni fa erano i cosiddetti food evangelists a dettare legge quanto a stili e abitudini alimentari e a determinare le tendenze del global food system, compreso quello italiano. Una piccola, ma potente nicchia che voleva influenzare il mondo dell’alimentazione persino nelle modalità con cui il cibo veniva prodotto, confezionato e venduto.
La grande novità è che oggi questi influencer di nicchia stanno diventando sempre più la normalità nelle popolazioni di tutto il mondo. Questo, secondo la nuova ricerca internazionale Food2020 condotta dall’agenzia di comunicazione integrata Ketchum, in 11 Paesi, tra Nord e Sud America, Asia ed Europa, Italia compresa.
A livello globale, l'incidenza di questi “evangelisti alimentari” è cresciuta del 10% tanto che oggi rappresentano addirittura il 24% della popolazione. Sono considerati food evangelist tutti coloro che impegnano una buona parte della giornata in conversazioni reali o virtuali sul cibo. Italia e Argentina sono i Paesi in pole position con un incremento numerico di rappresentanti più alto della media mondiale: sono passati dal 37% al 43% della popolazione in Italia e dal 29% al 33% in Argentina.
«I food evangelist sono sempre meno influencer di nicchia e sempre più mainstream, una dominante forza di mercato destinata a diventare la “nuova normalità” tra i consumatori - dichiara Andrea Cornelli, ceo e VP di Ketchum Italia -. Il loro desiderio è quello di influenzare le altre persone, ma in realtà non professano un loro credo specifico. Piuttosto sono affamati di informazioni che ricercano dalle fonti più diverse, amano ascoltare le opinioni degli altri per poi prendere le loro decisioni. L’aspetto più curioso è che sta crescendo la seconda generazione di food evangelist che, nelle case di tutto il mondo, è rappresentata da coloro che oggi hanno davvero il potere di influenzare il resto della famiglia sugli stili alimentari e sulla scelta di un’alimentazione sana».
Lo studio ha, infatti, dimostrato cosa i food evangelist ritengono importante che i loro figli conoscano sull’alimentazione e soprattutto ha evidenziato gli atteggiamenti dei più piccoli nei confronti del cibo. A livello globale, la metà (circa il 49%) dei genitori intervistati dichiara che i propri figli hanno un ruolo attivo nella scelta degli alimenti che la famiglia mette in tavola ogni giorno, mentre il 39% confessa che i propri figli leggono le etichette e il 38% evita gli alimenti con determinati ingredienti ritenuti poco salutari. Inoltre, un terzo degli intervistati afferma di preferire gli alimenti biologici o di produzione locale, e il 26% dichiara di stare alla larga dai cibi troppo elaborati. «Non sorprende quindi, che molti bambini abbiano le stesse convinzioni e preferenze dei genitori. Ciò che invece stupisce, ed è in forte crescita, è il fatto che i più giovani abbiano un ruolo attivo e decisivo negli acquisti e stili alimentari della famiglia - continua Cornelli -. I dati confermano che i figli dei food evangelist sono pronti a diventare gli influenzatori di domani».
La predilezione per il local food
I food evangelist stanno insomma ridefinendo i nuovi paradigmi del mangiare sano. Non molto tempo fa, una sana alimentazione era sinonimo di dieta equilibrata e riduzione dei grassi; oggi comprende nuovi fattori quali la tracciabilità degli ingredienti, la territorialità, le modalità di produzione da parte delle aziende. Tra i risultati più rilevanti, vi è la preferenza per gli alimenti prodotti e coltivati localmente. Infatti, quasi la metà degli intervistati (il 49%) a livello globale ripone più fiducia nei confronti dei rivenditori locali piuttosto che nei grandi supermercati e il 47% dichiara che gli alimenti dei piccoli produttori sono più sicuri dei grandi. Questi dati balzano rispettivamente al 66% e al 58% tra gli americani.
La preferenza per il local food dimostra pertanto che i consumatori riconoscono un valore aggiunto ai piccoli marchi o produttori locali. Inoltre, conferma uno dei principali “credo” dei food evangelist ovvero che “semplice è meglio”. Questi ultimi sono, infatti, sempre alla ricerca di ingredienti semplici, senza conservanti e prodotti da agricoltura biologica. E il 60% degli intervistati afferma che è importante insegnare ai figli fin da piccoli il valore degli alimenti biologici. Interessante la contraddizione secondo la quale è sempre maggiore, in tutto il mondo, la richiesta di tecnologie che consentano un risparmio di tempo nella scelta e acquisto degli alimenti (spesa online) ed è contemporaneamente sempre più diffuso il desiderio di avere un rapporto più diretto e personale con il rivenditore di prodotti alimentari (per il 50% degli intervistati).
«Il desiderio e la domanda di shopping online è una realtà, ma le tecnologie e le strategie di go-to-market stanno avendo molto più successo con i consumatori particolarmente coinvolti in fatto di scelte alimentari. Gli acquisti food non si limitano ad una mera transazione commerciale, ma rappresentano un’esperienza coinvolgente e appagante» osserva Cornelli
«Accanto all’online, che certamente velocizza la parte temporalmente più dispendiosa del customer journey, cioè l’acquisto in negozio - commenta Patrizia Martello, consumer culture consultant di Ketchum Italia e docente di Sociologia della Comunicazione presso NABA di Milano -, il cibo - soprattutto fresco - continua a trovare nei negozi fisici - siano essi ipermercati, farmer’s markets, piccoli rivenditori - il luogo preferito della scelta, che coniuga i bisogni alimentari con gli stili di vita, i valori, le abitudini sociali e culturali che soprattutto noi italiani ci portiamo dietro».
Che cosa dicono i genitori food evangelist italiani dei loro figli:
Come le aziende stanno rispondendo alle esigente dei food evangelist
In questo scenario, l'industria alimentare sta già rispondendo alle richieste dei food evangelist. E si stanno già riscontrando risultati positivi. Negli ultimi anni si è verificata una sensibile revisione della catena del valore: molti brand famosi della grande distribuzione hanno annunciato cambiamenti nella formulazione dei prodotti, hanno reso più evidente la composizione e la tracciabilità degli ingredienti, etc. Così i food evangelist, intervistati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Germania hanno oggi una maggiore fiducia nella sicurezza della catena alimentare di quanto non ne avessero nel 2013. Ciononostante in altri Paesi il livello di fiducia è ancora piuttosto basso.
«Tra i fattori che le persone ritengono più importanti nella comunicazione delle aziende alimentari, non a caso oggi troviamo trasparenza, chiarezza e onestà - afferma Patrizia Martello -. Ma questo non basta. La fiducia non si costruisce con slogan e azioni di marketing. I consumatori chiedono coerenza, autenticità, vogliono sapere tutto su ciò che mangiano e non a caso si fidano più di amici e familiari che di medici e brand». Infatti, nonostante per i food evangelist il cibo rappresenti il principale argomento di conversazione nei social network, la ricerca, ha evidenziato che questi preferiscono raccogliere informazioni sui brand e sulla produzione degli alimenti attraverso i media tradizionali come telegiornali, quotidiani, blog e siti internet. «E’ evidente che i grandi player nel settore alimentare non abbiano trascurato le richieste dei food evangelist e che si siano compiuti passi da gigante per andare incontro alle loro esigenze - conclude Cornelli -. Molti brand hanno aperto un dialogo ancora più diretto con il consumatore conquistandosi fiducia e rispetto. Questo è un atteggiamento che l’industria deve continuare ad avere per avere successo con la nuova generazione degli evangelisti alimentari».
La metodologia della ricerca
La ricerca Food 2020 è stata condotta da Ketchum Global Research & Analytics partire dal 2008, con l'obiettivo di comprendere e prevedere gli atteggiamenti e i comportamenti mutevoli dei consumatori riguardo la produzione degli alimenti e i valori che stanno dietro le imprese alimentari. Nel 2013, lo studio ha esaminato che cosa la popolazione in generale pensava e come agiva riguardo al cibo, e ha così individuato due gruppi distinti: i “food involved” e i “food evangelist”. Questi ultimi sono coloro che sono informati e condividono attivamente le loro opinioni sul cibo, sia di persona sia online, mentre i primi sono coloro che ascoltano. Nel 2015, Ketchum in collaborazione con Ipsos ha condotto un sondaggio online su 2.098 food evangelist in 11 mercati del mondo, compresi gli Stati Uniti, Argentina, Brasile, Germania, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito, Hong Kong, Cina e Singapore. I risultati di questa indagine sono stati integrati con focus group e discussioni con alcuni mercati.
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