03 Marzo 2020
Che si tratti di un automatismo o di una cosiddetta ‘visione dell’oasi’, ad autunno lo spirito si orienta fatalmente verso le feste. Complice il cambio di stagione e il lasciarsi alle spalle i fasti dell’estate, fisiologicamente corpo e spirito sentono il bisogno – occulto ma non troppo – di alleviare la tensione del ritorno agli impegni della quotidianità concentrandosi su qualcosa di più piacevole. Focalizzarsi sulle vacanze è quindi tonico per l’umore ed occasione, per i più (tra cui indubbiamente io), di programmare, insieme ai più naturali ‘rossi’ (più adeguati alle preparazioni e ai piatti invernali, sicuramente più ‘grassi’) ripassi di bevute estive di particolare piacevolezza o, perché no, sperimentazioni più ardite. La ‘bollicina’ (perché è di questo che stiamo parlando) è in questi casi come il completo grigio, ovverosia va bene su tutto. Complice l’ormai straordinaria diffusione del vino frizzante italiano nel mondo (agli alfieri del glorioso Metodo Classico dalla storica riconoscibilità – come Franciacorta, Trentino, Oltrepò Pavese, Alta Langa e Lessini Durello – si uniscono gli strapoteri del rifermentato in bottiglia o del metodo Charmat come Lambrusco e Prosecco, di cui è ormai antistorica la classificazione di ‘vini frizzanti minori’) esiste un notevole proliferare di buoni, molto spesso ottimi, prodotti frizzanti ottenuti da uvaggi storici o meno storici, ma che ormai sta invadendo il mercato da Nord a Sud.
BASTA CON I DOGMI
Le ‘bollicine’, quindi, ormai sono più un concetto e un modo di essere che non semplici etichette. Partendo dalla matrice comune della produzione di anidride carbonica durante il processo di vinificazione, sono ormai numerosissimi i vini ‘frizzanti’, o ‘spumanti’, che – originando da vitigni tradizionali come (per fare esempi di cui abbiamo parlato anche in questa pagine) Trebbiano, Fiano, Spergola – sono declinati in versioni sparkling interessanti quando non rimarchevoli. Quello che trovo assolutamente positivo in questa tendenza è intanto il suo essere antidogmatica: molto spesso ci dimentichiamo che la tradizione del vino ‘frizzante’ italiano, e della sua rinomanza nel mondo, è appena successiva, come tempistiche e riscontro, a quella francese. E poi che la leva del riscontro di mercato ha permesso prima la nascita e poi lo sviluppo di una linea di prodotti realizzati in pochissime migliaia di esemplari, ma di ottima fattura e di grande impatto gustativo, assolutamente da provare. Uno degli esempi è il Bolé, nato dalla collaborazione tra Caviro e Terre Cevico, ma ricordo anche la grandissima linea di etichette di Eugenio Collavini, a base Ribolla Gialla, che recentemente ho avuto la fortuna di assaggiare, o ancora le sperimentazioni estreme di Cantina Bisson, con il progetto ‘Abissi’, vini invecchiati sul fondo del mare, a 60 metri di profondità, appena al largo di Portofino, o le sempre più numerose bottiglie a base Verdicchio dei Castelli di Jesi, Erbaluce, Inzolia, Grillo…
IL MARKETING DEL FOOD PAIRING
Un mondo in evoluzione, insomma, che parte sicuramente da un marketing naturale, che è quello dell’euforia indotta dalla bollicina stessa, ma che poi si muove orizzontalmente, più in sintonia di quello che si pensavaun tempo a livello di abbinamento con i cibi: c’è tutta una serie di piatti o preparazioni, infatti, anche invernali, che non disdegnano un accompagnamento con la bollicina, anche a tutto pasto, pensate soltanto a quanto possa risultare succulento un cappone ripieno con un Franciacorta elegante e strutturato, magari con qualche anno di invecchiamento, potete sceglierne uno, a vostro piacimento, tra Monte Rossa o Uberti, o ancora classicissimi come arrosti di vitelli con un TrentoDoc (provate il Letrari “Talento”, giusto per avere un’idea) o l’altrettanto celeberrimo zampone (o cotechino) con il Lambrusco (tipo il sempre ottimo “Rito” di Zucchi), per non dimenticare guazzetti o faraone, perfetti con un buon Prosecco come l’avveniristico Brut Nature Metodo Classico di Silvano Follador, o anche piatti più estremi come capitone – fritto e in umido – o anguilla, uno ideale con un aglianico spumantizzato (tipo il DUBL di Feudi San Gregorio) l’altro, perché no, con un Fortana, magari spumantizzato in rosa come il bellissimo “Rosa x Emy” di Cantina Mattarelli. L’unica cosa che vi raccomando, come sempre è sperimentare: la costruzione del gusto individuale è un processo avventuroso, che passa obbligatoriamente attraverso il rischio per arrivare alla soddisfazione. O, se preferite, lo possiamo anche dire alla maniera latina, “per ardua ad astra”. In sintesi, buone bevute!
Romagnolo verace, Luca Gardini inizia giovanissimo la sua carriera, divenendo Sommelier Professionista nel 2003 a soli 22 anni, per poi essere incoronato, già l’anno successivo, miglior Sommelier d’Italia e – nel 2010 – Miglior Sommelier del mondo.
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A cura di Matteo Cioffi
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