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16 Febbraio 2020Galeotto fu il cognato. O meglio: “l’invidia per i suoi mesi di vacanza sulle spiagge della Sardegna, mentre io ero già immerso nelle brume autunnali cittadine alle prese con la mia attività di ristorazione”. Il bello di Sergio Dondoli è anche questo: sapersi prendere sul serio, ma non troppo. Tanto che, raccontando la genesi della sua professione di Maestro gelatiere, con buona pace di chi avrebbe preferito una versione più “ganza”, ci consegna, sornione, la sua verità: fu proprio l’idea di una stagionalità propizia, che gli consentisse di alternare mesi lavorativi a lunghi periodi di pausa (almeno a quei tempi andava così), ad accendere in lui la passione per la gelateria, facendogli accantonare il suo precedente lavoro.
Punto e a capo, dunque?
Già, ma mica facile. All’inizio credevo bastasse seguire alla lettera le ricette di mio cognato (gelatiere di terza generazione). Ma la cosa non funzionava. Tanto che – ammicca – per un momento ho anche pensato mi avesse buggerato con ricette fasulle. Ma la verità era più semplice: le ricette da sole non bastano, si devono adattare al contesto. E quindi serve avere misura e consapevolezza di quello che si fa. E serve studiare per conoscere gli ingredienti con le loro peculiarità chimico-fisiche. D’altronde lo diceva anche Totò: è la somma che fa il totale. Insomma: è dall’insieme di queste variabili che nasce un gelato di qualità. Così ho ricominciato da un libro, “Arte e tecnologia del gelato artigianale”, firmato da Caviezel. La prima cosa che ho capito? Di non aver capito alcunché fino ad allora.
Una lunga gavetta tra zuccheri, latte e panna, dunque. E poi, nel 1992, l’apertura della gelateria a San Gimignano…
Era giunto il momento di mettere in pratica quello che avevo appreso negli anni, per proporre qualcosa di diverso. E non è stato semplice. Pensi che persino mia moglie è stata sul punto di rinunciare a vendere il mio pistacchio (puro pistacchio), stanca dell’incomprensione dei clienti. Ma io ho la testa ben dura, che si sappia. E l’ho spuntata celia Dondoli –. Stessa cosa con i gusti di frutta: tutto in salita, all’inizio. Poi una passeggiata. Per fortuna – respira di sollievo – oggi il trend è cambiato rispetto ad allora.
Il gusto dei consumatori si è evoluto?
Senza dubbio. Prendiamo il grado di dolcezza, per esempio, fatte le debite eccezioni per la Sicilia, altrove oggi il gelato piace meno dolce.
Come si realizza il mix perfetto?
Tutta questione di equilibrio e bilanciamento tra sapore, consistenza e dolcezza: nessun ingrediente deve prevalere sugli altri. Naturalmente avere un palato affinato e “intuitivo” aiuta.
Lei propone ben 12 gusti registrati: dal Dolce Amaro alla Crema di Santa Fina, fino al Rosemary Baby: come nascono gli abbinamenti?
Spontaneamente, quasi da sé. Non esiste un meccanismo. Anzi, guai se esistesse: non c’è niente di peggio di un gusto nato a tavolino.
Come sceglie i suoi ingredienti?
Cerco il meglio e punto a dare spazio ai prodotti del territorio e alle specialità italiane come lo zafferano di San Gimignano, i pinoli di Pisa, i cantuccini senesi, la mandorla pizzuta di Avola o il pistacchio siciliano. E poi c’è il latte biodinamico dell’Azienda Agricola Poggio Di Camporbiano, di cui ho adottato le vacche, e la frutta biologica, compresa quella surgelata.
Per quanto tempo un gelato può considerarsi fresco?
Diciamo che il primo giorno è quello di massimo splendore, in cui il prodotto è al top. Fresco è ancora il secondo giorno. Nei giorni successivi, invece comincia a deteriorarsi e a perdere le sue caratteristiche organolettiche. Il mio consiglio? Non abbondare mai con la produzione e piuttosto limitare il numero di gusti: meglio proporne 12 sempre freschi che 24 stantii…
Quanto è importante scegliere dei buoni macchinari?
Tanto. E non parlo esclusivamente di quelli necessari alla lavorazione, ma mi riferisco anche ai congelatori e alle vetrine: per offrire un prodotto di qualità è fondamentale curarlo in ogni minimo dettaglio dalla produzione alla vendita.
Per chiudere, da cosa non si può prescindere in questa professione?
Anche a rischio di sembrare monotono, lo ribadisco: dalla conoscenza del mestiere, altrimenti il flop è dietro l’angolo.
SERGIO DONDOLI
Maestro Gelatiere insignito del titolo da Massari e Caviezel, Sergio Dondoli ha un motto a cui non intende derogare: fa’ quello che ti diverte e ti mette a tuo agio, a tutto il resto rinuncia. I dettagli? Importantissimi. “È sui particolari che mi soffermo, è da lì che traggo stimolo”. Professionista multipremiato, da poco è stato anche insignito Ambasciatore d’Italia in una cerimonia ufficiale nella sala Koch di Palazzo Madama. Ognuno dei suoi 12 gusti registrati ha una storia a sé: c’è quello immaginato per Michelle Obama (e pazienza che la visita dell’allora first lady sia poi saltata), per esaltare le tipicità italiane (mandorle di Avola, cantuccini allo zafferano e arancia amara). Ma c’è pure il Dolceamaro, personalissima visione della vita (dolce e amara, appunto) mantecata dal Maestro e realizzata con infusione di erbe aromatiche, vaniglia e salsa al cioccolato e al caffè. E se con Santa Fina (che prende il nome dalla santa patrona di San Gimignano, perché proprio in quel giorno il gusto debuttò in grande spolvero) Dondoli esalta la preziosità dello zafferano (fin dal Medioevo fonte di ricchezza per il paese delle torri), con Rosemary Baby, è invece il rosmarino l’inedito protagonista.
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A cura di Matteo Cioffi
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