pubblici esercizi
21 Marzo 2021Mario Carbone, Account Director di IRI, crede nella capacità di recupero del settore e prevede che, quando le condizioni lo permetteranno, i consumi fuoricasa torneranno a essere soddisfacenti. E la pandemia lascerà anche alcune innovazioni interessanti…
Guardando al mondo del fuori casa, in modo particolare ai punti di consumo, quali sono a suo parere le maggiori innovazioni e le accelerazioni di trend che erano già attivi che la crisi ha messo in atto?
Il lavoro che facciamo, ad IRI, nel settore del fuoricasa, è focalizzato sulle attività di intermediazione dei grossisti, quello che nel gergo tecnico viene chiamato il sell in del distributore ai punti di consumo. Stiamo parlando di un settore che, al momento, per dare qualche numero ai lettori, accusa un calo del fatturato nell’ordine del 35/40%. Ma all’interno di questo dato generale, ci sono alcune tendenze interessanti. Tra le principali che si sono viste quest’anno bisogna citarne assolutamente tre: il delivery; lo sviluppo delle catene che, col tempo, potrebbero riuscire ad avere un ruolo maggiore che in passato; l’e-commerce. Si tratta quindi di trend che non sono esattamente di “horeca puro” e che in qualche modo mettono in discussione il ruolo del grossista del settore. Tradizionalmente il grossista horeca ha formati ed assortimenti dedicati a questo canale, diversi da quelli della grande distribuzione, ha costi di vendita maggiori e, ovviamente, anche dei margini di guadagno maggiori, anche perché lavora su piccole quantità. Con le chiusure dei locali dovuti ai lockdown, anche il distributore ha dovuto attrezzarsi diversamente dal passato e ingegnarsi con nuove modalità. Tra i canali di vendita a cui ha dovuto rinunciare nell’ultimo anno ci sono quello degli hotel e quello dei locali della notte. Inoltre, ha perso moltissimo sul fronte della birra, in particolare in quel particolare ambito che era la vendita in fusto, che costituiva uno dei punti di forza dell’attività. In generale, a livello di categorie, tutti i grandi formati hanno risentito del calo della domanda. È molto interessante vedere come hanno reagito a questi cambiamenti i grossisti. Si sono “buttati” su altri canali, in particolare sulle vendite online. Molti hanno creato dei siti di e-commerce, a volte anche in maniera artigianale. Chi ha potuto, ha aumentato il lavoro di vendita porta a porta, e ha così recuperato parte delle perdite. Questo è accaduto non solo al sud, dove è maggiormente radicato il porta a porta anche con sub-distributori dedicati, ma anche nel nord del Paese. Segnalo poi ottimi risultati per i Drink shop, quei piccoli punti vendita che da anni molti grossisti hanno aperto come delle piccole enoteche di supporto. Assolvono ad una doppia funzionalità, “fare cash” recuperando una parte dei contanti persi con la chiusura dei locali, e rifornire i singoli ristoranti che hanno bisogno di un minor numero di bottiglie rispetto al passato e scelgono di andare a procurarsi quel che serve direttamente allo shop. È per queste ragioni che anche molti grossisti che non avevano un proprio Drink Shop, hanno approfittato del periodo per aprirne uno.
Quali di queste hanno le maggiori possibilità di diventare strutturali e non semplici fenomeni temporanei?
I Drink shop e l’on-line come nuove forme di vendita sicuramente sono modalità destinate a rimanere, hanno dei costi molto bassi e rispondono ad una domanda che è consolidata. Allo stesso modo il delivery e il take away sono diventati delle abitudini a cui non credo che le persone vorranno rinunciare. Inoltre, in questi mesi i bar si sono attrezzati per questo servizio e hanno colto l’occasione per allargare la loro offerta a merceologie che prima non proponevano e la cosa sta funzionando. Come sempre, il punto di consumo lungimirante coglie le opportunità e modifica rapidamente il proprio business. Allo stesso modo, i grossisti che erano specializzati in un solo ambito, ad esempio il dolciario, hanno dovuto allargare le loro proposte ad altri prodotti che prima non avevano in assortimento. E visto che la cosa ha funzionato, non ci sono valide ragioni perchè ritornino sui propri passi. Certamente questo allargamento di assortimento deve essere legato ad un lavoro di formazione e di servizio. Vale per tutti l’esempio del caffè. Si tratta di un business particolare, dove non ci si può improvvisare venditori senza competenze specifiche, capacità di supporto del punto vendita anche in termini di attrezzature. Ed è per questo che pochissimi grossisti sono in grado di farlo. Allo stesso modo, anche altri prodotti, come la stessa birra, hanno bisogno di essere proposti e venduti da personale specializzato e formato ad hoc, dotato di competenze specifiche e fornito di materiale di supporto. Questa tendenza al “servizio di qualità” che è già in atto, credo che potrà avere un ancor maggiore impulso in futuro, nel momento in cui le vendite torneranno a buoni livelli e la marginalità permetterà gli investimenti necessari a “pagare” queste attività di supporto al punto vendita. Perché è in questo servizio che risiede il vero punto di forza dei grossisti rispetto ad altri canali.
Sul medio periodo, a livello di sistema nel suo insieme, la bilancia tra gli effettivi negativi (come la perdita dei clienti in smart working) e effetti positivi (ad esempio l'impulso del delivery), da quale parte penderà?
Io vedo le cose in maniera positiva per quanto possibile. Sono 10 anni che vivo in questo settore e di crisi ne ho viste altre, e tutte sono state superate bene e, anche questa volta, credo nella capacità di recupero. Nel 2020 abbiamo registrato un passaggio del 5% dei consumi di Food & Beverage in direzione del domestico. Ma se guardiamo agli ultimi 20 anni, il fuoricasa ha avuto una crescita imponente e ha guadagnato tantissimo. E questo trend riprenderà per tante ragioni: bisogno di socialità, famiglie meno numerose, aumento del numero di stranieri, passione diffusa per i cibi etnici e così via. Non solo il trend positivo riprenderà, ma mi aspetto un recupero molto veloce. Inoltre, anche l’industria sta accelerando sul fronte dell’innovazione. C’è la questione della sostenibilità e della sostituzione della plastica e c’è una diffusa accelerazione verso i prodotti riciclati . Nel campo dei fusti di birra, quelli in pet stanno diventando sempre più performanti, con alcune aziende che stanno investendo con buoni risultati: cioè con una capacità di “durata” della birra nei nuovi fusti maggiore che in quelli tradizionali, per essere chiari. Certo, non mi nascondo i fattori negativi, la perdita del lavoro di molti italiani, e la crisi generalizzati nel breve periodo. Ma voglio dare un messaggio positivo, ossia che, se questo sarà un anno “zero”, anche questa crisi verrà superata. Il mio ottimismo non è campato per aria ma è legato a dati di fatto, ad esempio a quel che si è visto la scorsa estate. È bastato poco perché nei mesi estivi i consumi riprendessero a vele spiegate, con trend in linea – e a volte superiori – a quelli degli anni precedenti.
La sempre preannunciata razionalizzazione dei punti vendita (in termini di numero e di qualità), è davvero alle porte? Oppure anche questa volta, il “mix italico” di creatività e la capacità di trovare stratagemmi per sopravvivere alle nuove condizioni avrà la meglio e il panorama dell’offerta fuoricasa post covid, resterà lo stesso di prima?
In termini di punti vendita, siamo nell’ordine di oltre 300mila esercizi in Italia, con un certo sviluppo delle catene, anche in franchising, e un turn over tra aperture e chiusure che era già elevatissimo prima e potrebbe aumentare ulteriormente. Le crisi ricorrenti finora non hanno inciso sulla numerica dei bar italiani. E non è detto che ci sia una razionalizzazione. Quando un bar chiude, la cosa più facile è che subito ne apra un altro, spesso un giovane immigrato, magari con un format h24 come sta accadendo sempre più spesso nelle zone periferiche delle grandi città. Insomma, in Italia aprire un piccolo bar è una cosa agevole. Che poi molti non abbiamo la cultura e la competenza per portare avanti l’attività, e per farlo con professionalità, è un altro discorso. E tutta la filiera, a partire dall’industria, dovrebbe lavorare per favorire la diffusione della cultura d’impresa e la capacità imprenditoriale. Ma non è sempre facile. In ogni caso, io credo che continueremo ad avere lo stesso numero di punti vendita di prima della pandemia…
[caption id="attachment_184148" align="aligncenter" width="712"] Mario Carbone crede nella capacità di recupero del settore e prevede una risalita dei consumi fuoricasa nel post covid[/caption]
Come cambierà il rapporto tra punto vendita e cliente? Quali nuovi strumenti di fidelizzazione è possibile ipotizzare saranno più importanti rispetto al passato? Quali nuove esigenze il cliente "pretenderà" vengano soddisfatte rispetto al passato?
Distinguerei tra le tipologie dei locali. Il bar serale e il ristorante non possono più prescindere, se mai lo hanno potuto fare, dal servizio e dall’impegno per garantire la socialità dei clienti. A differenza del bar diurno che deve garantire un servizio veloce, efficiente, rapido e di qualità, con la formula di “un buon caffè e via”, altre formule di locale devono prevedere il divertimento o quantomeno lo “stare bene” dei clienti. Questo implica, ad esempio, la prenotazione del posto a sedere. È impensabile, oggi come oggi, che si possa tornare ad una formula per cui le persone si accalcano fuori dal locale in attesa che si liberino dei posti all’interno. E i sistemi di prenotazione online permettono di risolvere agevolmente questi problemi pratici. Inoltre credo molto nei pacchetti di offerta che possano servire ai punti di consumo per gestire meglio i giorni infrasettimanali e “coprire” il maggior numero possibile di coperti tutti i giorni dell’anno. Insomma una corretta ed efficiente gestione dei flussi, sia nel corso della settimana che all’interno di una stessa serata.
Quali saranno invece le principali conseguenze alla filiera? Concorda con chi dice che ci sono dei segnali di accorciamento e semplificazione della filiera?
Durante la pandemia il lavoro nella filiera è molto cambiato. Si è lavorato, e si lavora tuttora, a rotazione, ossia senza più scorta. Mentre prima c’erano le campagne (la campagna alcolici, quella della birra ecc..), oggi il distributore vive di piccoli acquisti, “tre cartoni di prodotto per poi vendere una bottiglia al singolo bar/ristorante”, per essere chiari. Questo obbliga tutti ad essere più agili e snelli, sia l’industria che il distributore. A partire dalla logistica. E questo implica un aumento dei prezzi, è inevitabile. A livello pratico questo si è tradotto in cartoni con meno bottiglie, imballaggi più piccoli, maggior numero di ordini per piccole quantità di prodotti. E il distributore ha dovuto organizzarsi per servire i suoi clienti più volte nel corso della settimana e con poche bottiglie. Questa politica di piccoli acquisti oculati ha permesso anche di essere meno esposti dal punto di vista finanziario. In maniera analoga si sta assistendo ad una tendenza da parte dei punti di consumo a rifornirsi presso un numero maggiore di distributori per “esporsi” meno e su più fronti. Un’altra tendenza in atto è quella di una maggiore attenzione sulla formazione, il famoso “uomo vino” o “uomo birra” per favorire le vendite dei prodotti nel punto vendita. Si tratta perlopiù di agenti promoter frutto di un buon lavoro di partnership tra azienda di produzione e distributore. Quando questa sinergia funziona, i punti vendita acquistano di più. Ed è sperabile che su questo fronte in futuro continueranno gli sforzi congiunti a livello di filiera.
A suo parere con quale atteggiamento le aziende food and beverage guardano al 2021? Il panorama competitivo potrebbe cambiare?
Al momento industria e distributore stanno ancora lavorando per tamponare le perdite. E per forza devono impostare l’attività con un’ottica molto concentrata sull’”oggi per domani” e senza programmazione. Tutti confidano sulla stagione estiva, su quello ci si gioca tutto. Se, per disgrazia, l’estate dovesse subire ancora le conseguenze della pandemia, sarà un colpo terribile per il settore. Ma dobbiamo confidare che le cose non andranno così e che da lì invece si possa ripartire.
Il “bagno di socializzazione” dopo i troppi mesi passati forzatamente in casa, potrà coinvolgere anche le fiere di settore? Potranno godere di un nuovo impulso grazie alla voglia di confronto, dialogo, arricchimento professionale degli operatori del settore?
Sul ruolo delle fiere di settore mi sento di dare due spunti. Era già presente una tendenza da parte dell’industria a scegliere con attenzione le manifestazioni a cui partecipare, facendo una grande selezione. La crisi ha mostrato con chiarezza ad alcune di esse che ci sono categorie di prodotto che possono essere presentate a prescindere dalla presenza fisica e che le vendite online possono fare a meno delle fiere. Ma, per fortuna, nel settore del F&B l’elemento sensoriale, quello dell’assaggio, della degustazione, del vedere da vicino e coi propri occhi è imprescindibile. Quindi credo che ci sarà una grande selezione a scapito delle fiere più piccole, ma per le maggiori dedicate al mondo del fuoricasa il ruolo non sarà messo in discussione.
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A cura di Matteo Cioffi
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