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13 Dicembre 2016Capita spesso che una grande intuizione enogastronomica nata nel Bel Paese sbarchi all’estero, venga trasformata dai gusti internazionali e ritorni da noi con un nuovo nome. È un po’ quello che è successo con lo street food: un termine anglofono che forse associamo più ai bagel o agli hamburger, ma che si ricollega all’italianissima tradizione del cibo di strada, rivisitata nella chiave gourmet e fusion che caratterizza le tendenze più contemporanee. E se un tempo il cibo di strada era soprattutto il panzerotto, la piadina o la pizza al trancio presi al volo, oggi lo street food è un vero e proprio format di ristorazione. L’ultima guida dedicata del Gambero Rosso censisce ben 450 indirizzi, che spaziano da nord a sud e dalle grandi città alle località turistiche e i piccoli borghi.
L’ESTATE 2016 CONSACRA LO STREET FOOD
Il 2016 è l’anno che sta marcando l’autentica esplosione di questa modalità del fuoricasa. Un’indagine di Coldiretti rivela che due italiani su tre hanno assaporato il cibo di strada, soprattutto durante la stagione estiva. Tra questi, l’81% preferisce il cibo della tradizione locale, il 13% sceglie quello internazionale – come gli hot-dog – e solo il 6% i cibi etnici come il kebab. In netto calo rispetto al passato, sottolinea l’organizzazione. Ma se gli italiani continuano a privilegiare i sapori che forse hanno imparato ad amare nell’infanzia, dove sta la vera innovazione? Tanto per cominciare nella tecnologia, che ha trasformato bugigattoli e food truck in vere e proprie cucine professionali, e nel design, grazie al quale furgoni o tradizionali vetrine su strada da pochi metri quadri ormai non hanno niente da invidiare ai format stanziali più di tendenza. E poi, naturalmente, ci vuole l’“ingrediente segreto”: la creatività dello chef, che deve essere capace di riproporre in modo nuovo la tradizione, ad esempio con ingredienti salutistici o a km zero, o con modalità di fruizione innovative. Creatività che sempre più spesso si fa business: Coldiretti aggiunge, infatti, che stanno incominciando ad affermarsi anche in Italia le prime catene specializzate. L’interesse verso questo comparto anche da parte di realtà di maggiori dimensioni non stupisce: non solo siamo tra i popoli europei che più di tutti amano mangiare fuori casa, ma noi italiani siamo senza dubbio quelli che apprezzano maggiormente la diversificazione dell’offerta. Secondo FIPE – Federazione Italiana Pubblici Esercizi, il nostro è il Paese europeo con il più alto rapporto fra imprese di ristorazione e popolazione: ben 440 ogni 100 mila abitanti, contro le 239 della Francia, le 198 della Germania e le 181 del Regno Unito. Il nostro Paese destina al fuoricasa il 35% della spesa alimentare complessiva, che lo scorso anno ha superato i 200 miliardi di euro: una “torta”, quindi, da almeno 70 miliardi di euro l’anno, che si distribuisce in uno scontrino medio di circa 3,50 euro per una sosta al bar e 7,40 euro per un pranzo fuori casa.
L’INGREDIENTE SEGRETO
Quale, dunque, l’ingrediente segreto creativo su cui puntare per ritagliarsi la propria nicchia in questo succulento mercato? Per la Ravioleria Sarpi di Milano, per esempio, scelta dalla guida del Gambero Rosso come miglior indirizzo street food della Lombardia, è smentire i luoghi comuni sulla cucina rapida cinese con la qualità delle materie prime naturali: farine bio senza sbiancanti né additivi, uova da galline allevate a terra e carne da allevamenti biodinamici del Piemonte, il tutto esposto e spiegato su grandi cartelli che ornano i soli 15 mq del negozio. E sempre più spesso sono chef anche rinomati che mettono la loro esperienza al servizio dello street food. L’idea di Pietro Parisi, il famoso cuoco-contadino di Palma Campania, con il Boccacciello Bistrot del Boschetto (Roma) è infatti quella di proporre in un semplice vasetto ricette della tradizione campana con ingredienti locali, dalle melanzane alla parmigiana al gâteau di patate. Due giovani chef abruzzesi in ascesa, Paola & Valentina, hanno avuto invece la capacità di trasformare un problema in opportunità con il food truck Ape Aperò (L’Aquila) che ha reso itinerante il loro originario progetto stanziale di proporre in modalità d’asporto le eccellenze abruzzesi, interrotto dal terremoto del 2009. Coniugare sostenibilità e street food è stata invece l’intuizione di Michele Lucarelli, giovane pizzaiolo trasferito a Copenaghen per amore, che, nella capitale delle due ruote per eccellenza, si è inventato il biciforno: una bicicletta con forno, frigo e uno spazio su misura per stendere e farcire il disco di pasta. Con il crowdfounding ha raccolto i primi soldi per dare vita al suo progetto Bike and Bake (pedala e cuoci), coinvolgendo poi un’azienda di forni siciliana e un designer danese e vincendo infine un bando del Comune di Copenaghen. Diversi altri chef noti si sono dedicati a questa nicchia, come Chef Rubio o Marcello Valentino, ma c’è anche chi sfrutta una popolarità non necessariamente del settore. Il principe Emanuele Filiberto di Savoia ha lanciato un progetto street food nelle strade della California: con un furgone attrezzato a cucina, prova a valorizzare l’abitudine di pranzare sempre fuori casa tipica della West Coast con un’offerta di pasta fresca italiana di qualità.
PARTIRE CON IL PIEDE GIUSTO
Qualunque sia l’idea creativa che vi frulla in testa per stupire il mondo con un format originale, l’importante è partire con il piede giusto sia dal punto di vista tecnico, sia da quello esperienziale. Da sempre leader mondiali nel food equipment, le aziende italiane hanno saputo cogliere con anticipo questa tendenza e propongono soluzioni su misura per lo street food. “Nasciamo come produttore dedicato al ‘plug-in’ e di conseguenza siamo la base di partenza di ogni trasformazione al format da strada, sia statico sia itinerante – afferma Domiziano Giacon, Owner di Tecnodom –. Semplicità di trasformazione e adattabilità, unite ai bassi consumi, completano la perfetta compatibilità dei forni da 3 kW con dimensioni e pesi ideali per questa modalità. Nelle celle frigorifere JKS, azienda del gruppo, ha invece sviluppato un sistema di cella per ottimizzare la doppia temperatura all’interno di un food truck”. “In Italia la cucina è cultura, il cibo è stile di vita e questo da sempre influenza le scelte dei produttori. Siamo romagnoli e da noi la piadina ha fatto la storia dello street food – aggiunge Eleonora Tamburini, Responsabile Commerciale Italia di Fimar –. Cono- sciamo bene le necessità di questi utilizzatori. Ad esempio nella linea cottura, dai fry top ai fornetti, dalle friggitrici ai cuocipasta, soprattutto per le loro dimensioni, sono molto adatti a questo format. Non da meno le attrezzature per la preparazione dinamica: affettatrici, mixer, stendipizza, frullatori, spremiagrumi, estrattori si adattano alla perfezione ai vari tipi di food truck”. Anche le realtà che per le loro dimensioni da sempre si sono concentrate sulle grandi cucine professionali portano il loro know-how in questo segmento: “Da sempre Unox sviluppa accessori che consentono la cottura dei cibi più diversi e oggi praticamente ogni cibo può essere cotto con eccellenti risultati – sottolinea Davide Ferraresso, Digital PR - Marketing & Communication di Unox –. La maggior attenzione va alle cotture salutari che riducano il contenuto di grassi sviluppando teglie per friggere con fino al 90% di olio in meno. A proposito di street food, dal 2015 abbiamo lanciato una gamma di forni compatti che occupano meno di 0,4 metri quadrati, mantenendo però tutte le tecnologie più avanzate dei forni più grandi”.
Ma se dotarsi delle tecnologie migliori è il punto di partenza per un prodotto perfetto, progettare con cura il layout scegliendo i migliori arredi, componenti e accessori è essenziale per generare quell’esperienza unica, che è il vero valore aggiunto che il consumatore finale ricerca nel momento street food. Per Stefania Gallina, Responsabile Marketing di Gaber, “…alla base dello street food c’è l’idea dell’essenzialità e semplicità, che coniuga i buoni sapori con un concetto economico in termini di costi. Si ritorna un po’ alle origini: i nostri complementi d’arredo per esterno e indoor sono presenti in tutte le situazioni che richiedono sedute resistenti alle diverse condizioni climatiche. I nostri prodotti sono impilabili, sovrapponibili e abbiamo anche degli articoli pieghevoli”. Il tutto sempre con un occhio al design: Stefano Sandonà è uno dei nomi che ricorre più spesso nella produzione dell’azienda. “Il pubblico vuole essere stupito – risalta Sara Parpaiola, dall’azienda Twentyfirst by Elbi – e per questo si rincorrono design sempre più estremi, materiali nuovi o utilizzati in modo inedito. È giusto perseguire nuovi stili e nuove linee di design, ma non bisogna perdere di vista la funzionalità. I prodotti Twentyfirst sono già concepiti per l’outdoor, easy-to-use, in polietilene: non richiedono una manutenzione particolare, sono facili da pulire, sono resistenti agli urti e sono riciclabili. I nostri arredi, inoltre, si sposano con qualsiasi atmosfera grazie alla vasta gamma di colori”. Un’attenzione che deve estendersi ai più piccoli dettagli. “Lo street food è sicuramente una delle tendenze più interessanti di tutto il panorama Ho.Re.Ca in questo momento. Best in Table ha creato un’intera linea di tovaglioli monouso con uno stile e un formato studiato appositamente per questa finalità... Abbiamo utilizzato colori intensi e di tendenza: il nero, il blu avio, il rosso porpora, un’immagine giovane e innovativa dove l’originalità sta nell’esaltazione del cibo”, spiega Marco Sala, Founder di Best in Table. “Stiamo progettando con l’aiuto di esperti bicchieri da cocktail e da birra ad hoc per degustare un drink o una birra di un certo spessore – aggiunge Barbara Zanardi, Marketing Manager di Vidivi – Vetri delle Venezie –. I mondi dei cocktail d’autore o della birra artigianale viaggiano assieme a quello dello street food, ultimamente. Vi è poi il mondo del finger food, che si accosta sicuramente anch’esso. Stiamo sviluppando set per i finger food, composti principalmente da bicchierini e coppette, ideali per questo tipo di servizio”. In chiusura, dal suo punto di osservazione anche come architetto commenta Massimo Mussapi: Nella ristorazione in generale, soprattutto in quella in catena, e a maggior ragione per i format di street food, bisogna ridurre al minimo la dipendenza dal personale, che è il problema numero uno. Il format e l’offerta ristorativa devono essere semplici, ogni singola operazione deve essere codificata, incluse le norme di comportamento verso il cliente. L’unica alternativa è gestire personalmente il punto vendita. Tutto il resto è aria fritta”. Emerge qui il tema della managerialità, tallone d’Achille di un fuoricasa italiano ancora troppo spesso dominato dalla conduzione familiare e da un approccio più legato alle consuetudini (“abbiamo sempre fatto così”) piuttosto che alla pianificazione. Saper coniugare la tradizione e l’“ingrediente segreto” con un modello di business articolato e sostenibile è la grande sfida che attende il cibo di strada italiano nei prossimi mesi, per continuare a competere con successo con le più agguerrite realtà street food internazionali.
IL COMMENTO
“Il fenomeno street food sta avendo un effetto rivitalizzante su tutto il settore – spiega Heather Lovatt, Head of Marketing di Steelite International – e in particolare sul casual dining. Noi abbiamo rilasciato la Restaurant Startup Guide, che guida passo dopo passo gli imprenditori che voglino valorizzare la loro idea da un food truck a una soluzione stanziale. Un altro comparto dove l’influenza dello street food si sta facendo sentire in modo particolare è il mondo del tableware”.
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