bevande
16 Aprile 2014[caption id="attachment_24412" align="alignright" width="120"] Bruno Berni[/caption]
Se guardiamo al consumo del vino, ci rendiamo conto che l’equazione “bere meno, bere meglio”, che ha portato a un consumo pro capite sotto la soglia dei 40 litri all’anno, non è univoca e, come sempre accade, nasconde diversi segmenti di mercato.
Le radici della tradizione
Vi è infatti una quota importante, circa un 60% di italiani tradizionali, di età prevalentemente matura che ha un consumo di vino abitudinario e funzionale nei diversi momenti della giornata, dal cicchetto di metà mattina all’aperitivo, passando per il pranzo e approdando alla cena.
Sono consumatori molto legati al territorio, preferiscono o si affidano a vini unbranded, spesso al ristorante chiedono il vino alla spina, quello “della casa”. I luoghi del consumo sono il bar diurno, la trattoria locale. Questo cluster del value for money è in contrazione, pur essendo un target interessante per le aziende che puntano ai volumi, ma anche per le cantine sociali, che la fanno un po’ da padrone.
Non è però un segmento monolitico. Si notano fenomeni trasversali verso vini più leggeri e più facili, spesso frizzanti, da allungare con soft drinks o liquori amaricanti (lo spritz, ma non nella versione trendy). Siamo di fronte alla pancia del mercato, diffuso in tutte le aree di provincia, meno in quelle poche metropolitane.
Il consumatore volubile
L’edonismo è invece il tratto caratteristico di un buon 30% di consumatori giovani adulti (28-45 anni) che ha scoperto il vino quale alternativa più sofisticata e interessante da consumare prevalentemente a cena o come aperitivo. Per questo target il vino ha un appeal socio-culturale elevato. Tanto che leggono, si informano, approfondiscono le nozioni, attraverso le guide, le riviste specializzate, soprattutto la rete, ma si muovono anche sul territorio alla scoperta sia dei nomi importanti sia del piccolo produttore di nicchia.
Amano sperimentare, ricercano vini particolari, si muovono liberamente nell’ambito del biologico e del vino naturale e non hanno timore di esplorare regioni o provenienze diverse dal solito. Tramontano i vini del Sud e sono in crescita quelli del Centro Italia, tendenzialmente bianchi o frizzanti (in questo caso l’area di riferimento è il Nord Est con il sempreverde Prosecco). In loro è residuale l’interesse per i vini esteri.
Dal punto di vista sociologico sono guidati dal capobranco, vale a dire chi, nei gruppi di amici, è più esperto e detta la tendenza. Gli altri seguono. È un target dichiaratamente conoscitore, ma non ha mai messo piede in una vigna, ciò che ne fa un segmento volubile e difficile da capire e indirizzare. La presenza femminile è interessante, soprattutto quando si parla di aperitivo. In questo caso i consumi si indirizzano verso vini frizzanti, rosati, bianchi come base per cocktail: il Prosecco li ha intercettati molto bene.
L’anello debole per questo target è che chi sta dall’altra parte del banco, serve e propone vino ha un livello di competenza inferiore e non è in grado di fare emergere la complessità dei valori che permeano il vino in quanto prodotto. Una gran parte di questi operatori non è in grado di supportare iniziative di degustazione, di assaggi, di proporre gli abbinamenti giusti. Tanto più che i produttori di vino sono frazionati e non hanno la possibilità di gestire il territorio e organizzare eventi di questo tipo.
Esperti e wine lovers
L’ultimo gruppo di consumatori sono gli esperti e i wine lovers, che il vino lo conoscono da tempo e hanno un rapporto molto intenso. Scendono in profondità a livello di cantina, di annata e di cru.
Per loro, giovani adulti e seniores, per lo più maschi di buon livello socio-culturale, vino e cibo vanno di conserva. Anzi il ristorante viene scelto in base alla ricchezza della carta dei vini (e quando la cantina è ampia e profonda, anche la cucina è di valore). Hanno una frequentazione assidua con l’alta ristorazione italiana e in parte con quella internazionale. Per loro il vino è fondamentalmente rosso. Coltivano anche rapporti con i produttori, fino a diventare dei veri e propri influenzatori.
Le prospettive
Il value for money è destinato a soffrire nel corso del tempo, sia per il crescere dell’età, sia per l’emergere dei valori di salute, benessere. In quest’area di consumo il rischio è che la difesa dei volumi da parte delle aziende garantendo i margini, tenda ad abbassare il livello qualitativo medio percepito dai consumatori, con la conseguenza di non avvicinare nuovi consumatori e costruire il ricambio.
Nel caso degli edonisti le prospettive sono positive dal punto di vista dei consumi, ma il tema della preparazione degli operatori diventa centrale, così come una certa volubilità del target richiede di lavorare un po’ di più sul vestito del vino, sul packaging, sull’etichetta.
Il segmento dei wine lovers beneficerà di uno sviluppo internazionale e di uno spostamento verso l’area del lusso, ma facendo attenzione al fatto che è un segmento limitato e ad alto valore, quindi potenzialmente critico.
Un’ultima annotazione su alcune questioni aperte per i produttori e i distributori.
Qualcuno sta pensando ad affrontare i ristoranti internazionali che si stanno diffondendo nel nostro Paese, dove il vino è ancora marginale?
La ristorazione intermedia può intercettare con vini a prezzi ragionevoli gli edonisti e anche i wine lovers oppure l’equazione “buona cucina uguale vini costosi” è inamovibile”?
Infine, esiste un pericolo ricambio di consumatori? Qualche insegnamento può arrivare dalla birra artigianale che un po’ di spazio al vino lo sta togliendo, parlando soprattutto ai più giovani.
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A cura di Matteo Cioffi
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