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18 Ottobre 2014Coldiretti scende in campo per sostenere l'iscrizione dell'arte della pizza napoletana nella lista Unesco del patrimoni immateriali dell'umanità. L'obiettivo è quello di arrivare a un riconoscimento internazionale di fronte al moltiplicarsi di atti di pirateria alimentare e di appropriazione indebita dell’identità del prodotto che, ricordiamo, nel 2010 è stato riconosciuto come Specialità tradizionale garantita dall’Unione europea.
La campagna è stata lanciata sulla piattaforma change.org (dove si può firmare la petizione) insieme all'Associazione Pizzaiuoli Napoletani (nella foto a fianco il presidente Sergio Miccù, Alfonso Pecoraro Scanio e il nutrizionista Giorgio Calabrese) e alla fondazione unica verde dell'ex ministro dell'agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio, per garantire pizze realizzate a regola d'arte con prodotti genuini e provenienti esclusivamente dall'agricoltura italiana.
Ecco qual’è l’iter previsto per ottenere il riconoscimento da parte dell’Unesco.
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L’impegno di Coldiretti nella raccolta delle firme (nella foto grande il presidente Moncalvo mentre sigla la petizione) per la petizione serve anche a combattere l’agropirateria internazionale.
Secondo Coldiretti, infatti, in Italia quasi due pizze su tre sono ottenute da un mix di farina, pomodoro, mozzarelle e olio provenienti da migliaia di chilometri di distanza senza alcuna indicazione per i consumatori.
Questi i numeri: nel corso del 2013, spiega Coldiretti, sono stati importati ben 481 milioni di chili di olio di oliva e sansa, oltre 80 milioni di chili di cagliate per mozzarella, 105 milioni di chili di concentrato di pomodoro dei quali 58 milioni dagli Usa e 29 dalla Cina nonché 3,6 miliardi di chili di grano tenero con una tendenza all'aumento del 20% nei primi due mesi del 2014. Un fiume di materia prima che, sostiene sempre la Coldiretti, ha compromesso notevolmente l'originalità tricolore il prodotto servito nelle 50.000 pizzerie presenti in Italia che generano un fatturato stimato di 10 miliardi ma non offrono alcuna garanzia al consumatore sulla provenienza degli ingredienti utilizzati. Una presa di posizione molto netta che, crediamo, non mancherà di sollevare delle polemiche, perché se è vero che l’agroalimentare italiano dipende in maniera elevata dalle importazioni, l’equazione tra volumi delle importazioni e loro qualità e mancanza di garanzie nelle 50 mila pizzerie italiane è quanto meno azzardata.
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