bevande
01 Dicembre 2014Fra gli ultimi a parlarne, il quotidiano La Stampa, in un articolo ampiamente ripreso da altri media. Ma che i pub britannici fossero in crisi è fatto noto già da qualche anno. I dati della British Beer and Pub Association dicono che circa diecimila pub negli ultimi dieci anni sono stati costretti a chiudere. Il fenomeno impressiona, perché colpisce una delle istituzioni più antiche e consolidate d’Oltremanica, talmente antica da essere diventata un elemento fondante – e quindi apparentemente immutabile – dell’idea che della Gran Bretagna si ha in tutto il mondo.
Ma nella crisi – o trasformazione – dei vecchi pub, in parte dovuta a trasformazioni socioeconomiche in atto nella terra della Union Jack, si celano anche fattori e insegnamenti più “globali”, che riguardano anche noi italiani e che perciò faremmo bene ad analizzare.
Niente dura per sempre
Il primo dato con cui dobbiamo fare i conti è che non esistono più rendite di posizione inattaccabili. Un esempio nostrano, sebbene non strettamente legato al mondo della ristorazione, sembra confermarlo: la scorsa estate Flavio Briatore ha strigliato la “sua” Versilia (dove l’imprenditore piemontese ha il noto stabilimento balneare Twiga) tacciandola di immobilismo e mancanza di idee, e indicando il Salento come esempio virtuoso di turismo. Nelle pieghe di un ragionamento generale che includeva servizi, infrastrutture, burocrazia e mentalità, è sembrato di poter cogliere una questione di fondo: la Versilia è rimasta troppo a lungo uguale a se stessa, guardando immobile il mondo che le cambiava intorno. La notorietà e il prestigio che la premiavano fin dagli anni 60 – così come gli elementi concreti che erano alla base di tale notorietà – sono andati via via appannandosi, e oggi il fattore “moda” premia altri territori, fra cui appunto il Salento. Salento che a sua volta non dovrà cullarsi sugli allori di un boom turistico recente e per certi versi dai piedi d’argilla, se non vorrà anch’esso passare presto di moda.
Tutto ciò ovviamente non vale solo per il destino turistico di un determinato territorio, ma anche per i pubblici esercizi, e anche per le tipologie di pubblici esercizi, come dimostra proprio la crisi dei pub. Insomma, se anche la Versilia e i pub inglesi perdono il loro pubblico, nessuno può sentirsi al riparo dal cambiare dei tempi.
Non solo crisi
Racconta David Law, gestore del pub The Eagle di Londra, ad Alessandra Rizzo de La Stampa: «Non mi sorprende che la gente non vada più al pub. La maggior parte dei lavoratori non se lo può permettere. è diventata un’esperienza per la classe media».
In questo giudizio non c’entra solo la crisi e il calo generalizzato del potere d’acquisto. I pub, infatti, hanno continuato ad andare male anche quando gli indicatori economici del Regno Unito erano in ripresa. Segno che nel frattempo è accaduto anche qualcos’altro: è come se l’allontanamento, per motivi prettamente economici, di determinate fasce sociali abbia determinato un cambiamento più o meno consapevole nel target dei pub. Cambiamento che a sua volta ha contribuito ad allontanare definitivamente la clientela storica. Si è iniziato con la Working Class che non può più permettersi il pub e si è andati a finire con il pub che non è più un posto adatto per la Working Class.
A pensarci, sta accadendo la stessa cosa anche nel calcio, che da sport popolare si sta trasformando in intrattenimento per benestanti, almeno per quanto riguarda la fruizione dal vivo, allo stadio. Anche in questo caso la Gran Bretagna fa da apripista. Nella culla del football, politica dei prezzi e offerta televisiva hanno completamente stravolto la composizione del pubblico da stadio: fino a qualche anno fa in gran parte rappresentato dalle classi popolari e dagli abitanti della città o addirittura del singolo quartiere, ora invece composti in buona parte dagli unici che possono permettersi i prezzi dei biglietti. Una composizione omogenea dal punto di vista del ceto ma composita quanto a provenienza geografica. Per tutti gli altri c’è la tv. è quanto sta accadendo, proprio adesso, anche in Italia.
Due strade
Il declino dei pub dipende anche da cambiamenti nelle abitudini dei britannici: il consumo della tradizionale birra cala, mentre cresce quello di vino. In Italia da decenni accade il contrario: uno dei tanti effetti della globalizzazione.
Ma la questione è anche prettamente economica: costi alti che si ripercuotono sui prezzi e che spesso determinano la chiusura a favore di altri esercizi commerciali, soprattutto supermercati.
Con la beffa che nei supermercati ovviamente l’alcol costa meno, il che si traduce in ulteriore concorrenza ai pub che ancora sopravvivono.
In casi come questo, la scelta è fra due strade: cercare di abbassare i prezzi per fronteggiare la crisi e resistere alla concorrenza degli altri canali, rimanendo così fedeli all’idea originaria del pub come luogo magari di poche pretese ma accessibile a tutti, oppure adeguarsi in un certo senso alle trasformazioni e mutare il pub in un luogo più ricercato, che va incontro alle evoluzioni del gusto e strizza l’occhio a un target più nuovo. In questo secondo caso la gara si fa, più che sui prezzi, sulla qualità e sull’originalità dell’offerta, o sulla gradevolezza dell’ambiente.
Il sito lettera43.it cita la Good pub guide del 2014, secondo cui “Ci sono locali mediocri che sono rimasti fermi al 1980 e offrono cibo, bevande e servizio senza alcun valore aggiunto”. Per contro, nel 2014 gli addetti ai lavori prevedono l’apertura di circa mille nuovi pub di “ultima generazione”.
Davanti a questo bivio non si trovano solo i pub inglesi. è il dilemma di molte tipologie di locali, in un mondo che cambia rapidamente. Certo non c’è una risposta valida per tutti, ma la domanda è cruciale. E' importante infine considerare che ogni cambiamento porta con sé altri cambiamenti a valle: se infatti una categoria di locale (i pub, o qualsiasi altra tipologia) cambia il suo target di riferimento, è possibile che si aprano spazi per nuove formule in grado di raccogliere il target originario. Del resto è proprio sulla base di queste evoluzioni che negli ultimi anni sono nate nuove formule, come ad esempio i fast food “gourmet”, lo street food, i bar automatici.
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A cura di Matteo Cioffi
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