bevande
19 Dicembre 2014Vino in ambasce, soprattutto nel canale Ho.Re.Ca che rappresenta lo sbocco principale per le piccole e medie aziende italiane, per cui –invece- export e gdo sono ancora obiettivi ostici. E i dati di Nomisma parlano chiaro. Nel panorama vinicolo nazionale, infatti, solamente per le 25 imprese con un fatturato 2013 superiore ai 50 milioni di euro l’export incide sensibilmente (mediamente del 60% circa sul proprio fatturato). Ala contrario, invece, man mano che le dimensioni medie scendono, tale propensione si riduce (nelle imprese tra 10 e 20 milioni, il peso dell’export scende al 40%), fino ad arrivare – nella maggioranza dei casi – a valori marginali per i piccoli produttori, quel 70% di cantine che produce cioè meno di 100 ettolitri di vino all’anno.
Ma i disagi per le pmi non finiscono qui.
Come se non bastasse, infatti, la crisi ha ridotto i consumi al ristorante e anche il vino ne ha fatto le spese, tanto che ormai il canale della GDO (e dei negozi specializzati) pesa ormai per il 65% sulle vendite a livello nazionale. E anche in questo caso – come per l’export – le possibilità per le piccole imprese di poter accedere agli scaffali di iper e supermercati sono veramente limitate per non dire nulle: quantitativi minimi di fornitura troppo elevati ed elevata pressione sui prezzi di vendita rappresentano le barriere all’ingresso spesso insormontabili per le PMI italiane del vino.
«Gran parte del tessuto produttivo del settore si trova quindi di fronte ad un bivio: trovare nuovi sbocchi di mercato, o all’estero o in Italia. Ma come si sa, entrambe le strade non sono facili da percorrere. Una possibile via alternativa, percorribile - anche dalle piccole imprese - potrebbe riguardare la vendita diretta in azienda, soprattutto se collegata al fenomeno dell’enoturismo», evidenzia Denis Pantini, Responsabile Agricoltura e Industria Alimentare di Nomisma.
L’enogastronomia, una possibile alternativa
Negli ultimi anni, l’interesse per l’enogastronomia italiana è aumentato soprattutto da parte dei turisti stranieri che annualmente arrivano nel nostro paese: per circa il 9% degli stranieri, l’enogastronomia rappresenta la motivazione principale nella scelta della propria vacanza in Italia (cinque anni fa tale incidenza era pari al 6,5%).
Tuttavia non sembra che tale potenzialità si sfruttata fino in fondo tanto che – paradossalmente per un paese come il nostro a forte vocazione vitivinicola- l’Italia spesso non è in grado di reggere il confronto con la concorrenza straniera.
Il segreto? Fare sistema come nella Napa Valley
Un caso di successo che forse dovrebbe essere utilizzato come benchmark è quello della Napa Valley, in California. La sola contea di Napa si estende su una superficie pari ai 2/3 della provincia di Verona ma il valore annuo collegato alle vendita diretta dei vini delle aziende situate in tale area è pari a quasi 745 milioni di dollari. Ogni anno circa 3 milioni di persone visitano la Napa Valley, per gite giornaliere (67%), soggiornando all’interno di strutture ricettive locali (29%) o in residenze private (4%). Il giro d’affari relativo ai visitatori è mediamente pari a circa un miliardo di dollari considerando le spese effettuate nei negozi locali, l’alloggio negli hotel, le spese nei ristoranti e nel trasporto locale, gli introiti derivanti dall’organizzazione di meeting ed eventi sul territorio, le visite guidate e le degustazioni in azienda. Il successo della Napa Valley non è solamente riconducibile al suo settore vitivinicolo ma ad un territorio che è riuscito a fare sistema attorno alla qualità dei propri vini per la valorizzazione di un’intera area, attraverso il coordinamento degli altri asset presenti (ambiente, paesaggio, turismo e attività commerciali). Basti pensare che qualsiasi modifica che attenga al settore vitivinicolo (come l’ampliamento o la riduzione dei vigneti) viene discussa e condivisa tra i diversi stakeholder della comunità locale (associazioni, imprese, cittadini, istituzioni).
«In Italia non ci mancano certo i vini di qualità e le zone di pregio dal punto di vista ambientale e paesaggistico, ma siamo indubbiamente più carenti nel “fare sistema”. Si tratta di capire, per cogliere le opportunità dell’enoturismo, se saremo in grado di superare questi nostri limiti per garantire una sostenibilità di lungo periodo alle imprese del settore», conclude Pantini.
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