bevande
14 Aprile 2015C’era una volta l’acqua. Anzi ce n’erano due: del rubinetto e gasata. Che in genere era quella della regione, perché le fonti nel nostro Paese non mancano. Altrove si pasteggiava ad aranciate e cole, qui ci trattavamo a San Pellegrino e ci sembrava normale. Poi l’acqua si è “vinizzata”. Ha guadagnato una sua lista: ce l’hanno i ristoranti più chic che propongono anche il giusto accostamento con i cibi in menù. Ha attirato l’attenzione di designer (che hanno concepito bottiglie sempre più preziose e audaci, arricchite con Swarovski e tappi d’argento) e dei consumatori d’alta gamma, che hanno iniziato a trattarla come una sorta di status symbol (“a casa mia si beve solo Voss”). E c’è già chi parla di terroir dell’acqua, il terreno dal quale sgorga e che le conferisce mineralità e gusto. Quindi, dai tradizionali Paesi produttori, Francia e Italia, si è globalizzata, e sono spuntate etichette ai quattro angoli del globo. Perché che l’acqua non sia tutta uguale lo si sa da sempre, nei componenti e nel gusto. Ma poi è arrivato il marketing a spiegare che proprio quell’acqua è unica, un musthave assoluto. Di certo c’è l’imbarazzo della scelta. C’è l’acqua vulcanica, come la hawaiiana Waiakea da proporre con un sushi o una caprese, o la Kona Deep, acqua di ghiacciai groenlandesi rimasta 1000 anni racchiusa nelle profondità marine da cui è estratta: ricca in elettroliti e nutrienti è molto amata dai giapponesi Il gusto un po’ estremo non è un deterrente: chi l’ha provata dice che la danese Iskilde sa di terra. Ma proviene da un pozzo artesiano risalente all’era glaciale. Dalle sorgenti profondissime si passa all’acqua raccolta direttamente dalla pioggia, come la Tasmanian Rain, “catturata dai cieli più puri della terra”. Il che fa tornare in mente la regola base: acque minerali o gassate uccidono il gusto delle pietanze delicate, mentre quelle troppo “piatte” stonano con piatti dal gusto deciso. Se non vi fidate dell’acqua estratta da un iceberg formatosi 10mila anni fa come la canadese Glace potete rivolgervi alla lituana Melt, che replica artificialmente il processo di formazione e disgelo di un ghiacciaio, per ottenere un’acqua pura e incontaminata. Poi ci sono quelle “lontano dalla pazza folla” le cui fonti si trovano in aree incontaminate o quasi: la cilena Aonni, dalla stilosissima bottiglia, proviene da una sorgente glaciale nella selvaggia Patagonia mentre la finlandese Veen sgorga in una delle aree meno popolate d’Europa. Natura, purezza e benessere sono i mantra delle nuove acque minerali, da proporre come un gran cru a un cliente annoiato che ne ha viste ormai tutte (pensa lui), ma con questa varietà sarà facile dimostrategli che voi ne sapete di più. Se pensate infine che le acque vadano proposte solo a clienti del gentile sesso diafane e astemie vi sbagliate. L’ultimo trend sono le acque per uomini e sportivi: ricche in magnesio e sali minerali promettono un boost di energia. Come la armena Tatni, che si è fatta conoscere per una pubblicità chiassosa, ma anche l’americana Lithia, proveniente da una fonte nota alle tribù Cherokee e proposta addirittura al posto dell’energy drink pre-fitness.
Acqua di cactus, acero e carciofo
L’acqua naturale può risultare noiosa a chi vuole perdere peso o semplicemente stare in forma. Se aggiungiamo il crescente interesse verso ciò che è naturale, le porte alle acque aromatizzate e derivate da prodotti naturali si spalancano. Ormai la corsa è aperta a chi trova l’ingrediente più inusuale e pronto ad assicurare benefici non solo di gusto ma anche alla salute, grazie all’apporto di vitamine, antiossidanti e minerali. Partiti con una tradizionalissima acqua di cocco (che ormai negli Usa è la bevanda d’elezione per i patiti del fitness), si è passati a quella di agave per poi approdare, e sono queste le acquisizioni più recenti, alle acque estratte dalla linfa di acero e cactus e dal carciofo.
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