caffè
03 Giugno 2014Difficilmente ce ne rendiamo conto quando prendiamo il nostro espresso al bar. Siamo così abituati a pensare al caffè come a una bella abitudine, che tendiamo a non vedere il suo lato più materiale. Ma il caffè è una commodity, una merce fisica, e come tale è soggetto alle fluttuazioni dei mercati, alla legge della domanda dell’offerta e anche – essendo un prodotto naturale – alle variabili climatiche.
Quello italiano rimane uno dei mercati più importanti del mondo. Secondo dati diffusi da CIC – Comitato Italiano Caffè, l’Italia rappresenta il secondo maggiore mercato in Europa (dopo la Germania) per la produzione e l’export di caffè torrefatto, mentre, a livello mondiale, è al quarto posto (alle spalle di Germania, Belgio e USA) nella graduatoria dei maggiori esportatori di caffè, con circa 2,9 milioni di sacchi di caffè (equivalente a 174 milioni di kg di caffè verde). Il caffè è uno dei segmenti più vivaci del food & beverage italiano, con oltre 700 torrefazioni e 7.000 addetti che lavorano nel comparto italiano del caffè, per un giro d’affari alla produzione di 3,5 miliardi di euro, di cui circa 950 milioni di euro destinati all’esportazione.
La International Coffee Organisation riporta che la domanda di caffè è cresciuta di un tasso medio di almeno il 2,5% dal 2000 a oggi. Poiché gran parte di questa domanda riguarda caffè di qualità, questo processo ha portato a un aumento nella domanda di Arabica, che tradizionalmente opffre un caffè di qualità migliore. Cresce, comunque, anche la richiesta di qualità Robusta.
[caption id="attachment_26853" align="alignleft" width="127"] Brad Buchanan[/caption]
«Anche le interviste che abbiamo condotto con i produttori di caffè, i grandi distributori di caffè verde e i torre fattori - commenta Brad Buchanan, General Manager Coffee Media & Events di Prime Creative Media (Global Coffee Report & BeanScene Magazine - confermano che esiste un aumento nella domanda. Per tenerne il passo occorre migliorare la resa e la qualità delle coltivazioni dei piccoli proprietari. Molti di loro stanno ottenendo la certificazione Q-graders rilasciata dalla Specialty Coffee Association of Europe & America: diventano più abili nel riconoscere la qualità del caffè, i coltivatori riescono a produrre caffè di qualità più elevata finale che si ritrova nella fase di consumo. La stessa associazione è impegnata nell’attività di formazione e certificazione dei baristi per migliorarne la conoscenza del prodotto e le competenze».
Consumi e prezzi
Guardando i dati del mercato italiano, nel 2013 le importazioni di caffè verde hanno segnato un incremento del 2,23% complessivo rispetto allo stesso periodo del 2012 (con 8.255.170 sacchi di caffè verde). Le esportazioni di caffè torrefatto mantengono un deciso ritmo di crescita, con un aumento del 10,23% rispetto al 2012 (pari a 2.903.474 sacchi, equivalenti a 146 milioni e 393 mila kg). Si tratta di un mercato maturo, ma vivace e che cambia velocemente. Un dato rilevante è che il settore del porzionato che continua a crescere a doppia cifra, rispetto al macinato moka, sostanzialmente stabile. Nei primi mesi dell’anno, le vendite di caffè porzionato hanno sfiorato nella Gdo, secondo le rilevazioni Iri, una crescita del 20%.
A livello di dinamiche internazionali dei prezzi, secondo i dati dell’ICE, la Borsa Merci di New York, dal 2011 fino all’inizio di quest’anno le quotazioni della varietà arabica, la più richiesta sul mercato, sono scese costantemente fino a toccare a gennaio 2014 un minimo di 111,40 centesimi di dollaro. Sono poi bruscamente risalite e a marzo hanno raggiunto il nuovo massimo dal 2011, 198 centesimi di dollaro. Quali le cause? Sicuramente la siccità che nell’ultima stagione ha colpito il principale produttore mondiale, il Brasile, che secondo alcuni studiosi sarebbe da ricondursi al riscaldamento globale che quindi potrebbe presentare episodi simili in futuro. Ma esistono anche cause strutturali. Negli anni scorsi l’offerta superava costantemente la domanda e questo ha contribuito a mantenere bassi i prezzi. Di recente, però, la richiesta di caffè verde e in particolare di varietà arabica è crescita in tutto il mondo. Alle risposte più tradizionali, come l’espansione dei territori di coltivazione (da tenere sott’occhio la Cina, dove il consumo di caffè sta crescendo esponenzialmente e che dispone già di una produzione propria in discrete quantità nella regione montagnosa dello Yunnan) e la sperimentazione di nuove miscele, si aggiungono oggi le soluzioni più innovative, basate sulla ricerca scientifica avanzata.
Dal dna i sapori del futuro?
Uno studio tutto italiano durato ben sei anni, finanziato da Illy e Lavazza e condotto dalle Università di Padova, Trieste e Udine, ha permesso infatti di sequenziare per la prima volta il DNA del caffè arabica. Grazie alla conoscenza del genoma, sarà possibile ad esempio riconoscere i geni che conferiscono alle piante di caffè la resistenza alle malattie e l’adattamento a condizioni climatiche sfavorevoli. In questo modo sarà possibile fronteggiare gli effetti negativi del surriscaldamento globale, che sta mettendo in forte crisi la produzione del caffè in zone come il Brasile e il Centro America.
Grazie alla decodifica del DNA si potrà stimolare la biodiversità attraverso tecniche naturali riuscendo a ottenere, attraverso la selezione delle piante, l’aumento dell’intensità di specifici aromi e la diminuzione del livello di caffeina (che potrà essere ridotta o eliminata del tutto, senza ricorrere ad estrazioni chimiche). In futuro si potrà probabilmente contare su una scelta molto più variegata e alcuni esperti e degustatori si spingono già a parlare di “terroir” come per i vini.
La crescita del piacere della degustazione è infatti l’altra grande protagonista del mondo del caffè in questa fase. Un fenomeno che, paradossalmente, sembra crescere più all’estero, dove consumare espresso è un’abitudine di tendenza e che fa status e dove si sta sviluppando una cultura dell’espresso cosmopolita, che non in Italia dove il caffè espresso continua a essere visto per lo più come una “bevanda di tutti i giorni”, semplice e basica, cioè appunto come una “commodity”.
Nonostante i notevoli sforzi che tutte le aziende protagoniste del settore stanno profondendo nella formazione dei baristas, sembra persistere una “rottura” nella catena del valore, che va dal torrefattore al cliente finale, passando per i produttori di macchine espresso e i pubblici esercizi, che solo ora sta cominciando a colmarsi grazie alla maggiore diffusione, anche nel nostro Paese, di nuovi format più orientati alla customer experience.
Una risposta a questa “rottura della catena” può essere un coinvolgimento ancora più diretto del cliente finale? In un recente incontro organizzato da SCAE – Speciality Coffee Association of Europe (partner di Host 2015), a proposito di evoluzione dei concept, ha commentato Luigi Morello, SCAE Director/Event Committee Chair SCAE e Export Director di Cimbali: “Stiamo assistendo alla ‘migrazione’ della macchina espresso dal retro del mobile bar, dove il barista preparava il caffè dando le spalle al cliente, al bancone, dove invece lo prepara standogli di fronte. Il consumatore si sente così più partecipe dell’esperienza dell’espresso, ne sperimenta ‘dal vivo’ la preparazione vivendo la macchina come un elemento qualificante dell’esperienza-bar e non solo come uno strumento”.
La competitività
[caption id="attachment_26856" align="alignleft" width="210"] Maurizio Giuli[/caption]
Se ne sono occupati anche Maurizio Giuli, Presidente di UCIMAC – Associazione italiana costruttori macchine per caffè espresso e Direttore marketing di Nuova Simonelli, e Federica Pascucci, docente di Economia e gestione delle imprese presso l’Università di Roma Tre, nel libro di recente pubblicazione “Il ritorno alla competitività dell’espresso italiano”, che affronta anche i temi legati all’innovazione e all’evoluzione tecnologica. Commenta Giuli al riguardo: “L’obiettivo che io e la professoressa Pascucci ci eravamo posti era quello di fornire un valido contributo al rilancio della capacità competitività del sistema caffè espresso italiano. Esso fornisce un’analisi profonda e dettagliata, ma, a nostro avviso, assumerà un valore reale se servirà a stimolare un confronto serio e costruttivo fra tutti gli operatori italiani del caffè. È da questo dibattito e dai risultati concreti che esso riuscirà a conseguire che dipende il futuro competitivo delle imprese del settore. Ci auguriamo quindi che riesca ad avviare un percorso di analisi, di confronto, e di scelte che veda coinvolti tutti gli attori, dai singoli alle imprese, dalle associazioni agli enti fieristici, dagli organi di stampa fino anche alle università, in modo da rimettere in moto le energie e le risorse necessarie per ridare nuova linfa al settore che, se saprà rinnovarsi, potrà profittare delle molte opportunità che ha davanti. Il successo di ascolti della recente puntata sul caffè di Report e il dibattito che si è innescato, ha sicuramente fornito un importante contributo”.
La sostenibilità
[caption id="attachment_26857" align="alignleft" width="124"] Cosimo Libardo[/caption]
“Il denominatore comune di tutte queste tendenze si può riassumere in una sola parola,‘sostenibilità’ – spiega Cosimo Libardo, Presidente SCAE e Sales & Marketing Director di Nuova Simonelli –. Che non significa soltanto sostenibilità ambientale, ma anche l’adozione di stili di vita e modelli di consumo che non comportino in generale conseguenze negative a medio-lungo termine, anche dal punto di vista economico e dei mercati.
Da un lato infatti, anche se non tutti gli esperti sono d’accordo, si ritiene che la produzione di caffè continuerà a calare a causa dei cambiamenti climatici, in particolare l’innalzamento delle temperature medie. Dall’altro, il consumo di caffè sta crescendo in tutto il mondo, e in particolare in Asia.
All’estero, il consumo di espresso sta assumendo caratteristiche sempre più esperienziali e di status e si sta creando una community internazionale di baristas sempre più attenti e cosmopoliti. In Italia invece il caffè espresso e i suoi derivati, come il cappuccino, continuano a essere visti come un prodotto di consumo immediato e quotidiano e ci si aspetta quindi prezzi bassi. I margini limitati lasciano meno spazio agli investimenti. Inoltre, i piccoli bar non hanno accesso agli strumenti di marketing avanzati (e costosi), di cui dispongono invece le grandi catene internazionali per profilare in modo accurato i diversi target di clienti e sviluppare prodotti su misura per le esigenze in evoluzione di ciascuno.
Per questo un ruolo molto importante lo svolge la ‘education’, che non è semplice formazione, ma un percorso di crescita a tutto campo. Noi di SCAE ci stiamo impegnando molto in questo senso; abbiamo creato percorsi formativi coerenti e sistematici con esami e certificazioni, che ne garantiscono l’accuratezza e la severità”.
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