attrezzature
03 Giugno 2014Abbiamo sottoposto al vaglio degli esperti le accuse mosse dalla trasmissione Report all’espresso servito nei bar italiani, una sorta di processo al caffè. Ne sono emerse alcune significative prese di distanza, ma anche qualche non trascurabile conferma delle criticità che ancora penalizzano il settore. E che potrebbero essere superate puntando sulla preparazione di chi lavora dietro al bancone
Che bellu ccafè! Sulo a Napule ‘o ssanno fá...” cantava Modugno, dando voce all’orgoglio nazionale che spinge gli italiani a considerarsi autentici intenditori in materia. Un orgoglio radicato e forte, messo però recentemente sotto accusa dalla trasmissione televisiva Report, che proprio all’oro nero ha dedicato un’inchiesta capace di suscitare, ancora prima di andare in onda, una pioggia di polemiche e contestazioni. Le tesi proposta dal programma di Rai Tre è tanto feroce quanto precisa: gli italiani, a loro insaputa, bevono un caffè di bassa qualità. E questo non avviene soltanto se ci si serve presso locali poco noti. Anzi. L’inviato Bernardo Iovene ha visitato insieme agli assaggiatori autorizzati dell’Associazione europea dei caffè speciali Scae, locali molto noti, tra cui il Gambrinus a Napoli e il Greco a Roma, per valutarne il caffè in tazza. Il risultato? Una sonora bocciatura. Una condanna determinata da più capi di imputazione.
[caption id="attachment_26948" align="alignright" width="150"] Luigi Odello[/caption]
La qualità delle miscele
Ad essere incriminata è stata innanzitutto la qualità delle miscele utilizzate. I torrefattori, ha tuonato Report, fanno spesso abuso della robusta, una varietà molto meno costosa della più pregiata e aromatica arabica.
Il caffè che ne deriva assume così un gusto amaro e astringente, non caratterizzato da quella acidità che invece è propria dell’espresso più nobile.
A tutto svantaggio del consumatore finale. Fin qui la denuncia.
Ma questa è davvero la realtà?
«A volte sì, a volte no - afferma Luigi Odello, presidente dell’Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè e segretario generale Istituto Nazionale Espresso Italiano -. Il problema comunque non è tanto se l’accusa sia vera o no, quanto il metodo del tutto inaffidabile che ha utilizzato Report. Un giudice monocratico è troppo soggetto alla sua visione personale, è un critico e non un misuratore, qualunque sia la sua preparazione. Un altro aspetto da sottolineare riguarda il piano sperimentale: come sono stati scelti i bar? E quanto il gruppo selezionato è rappresentativo dei locali italiani dello stesso tipo? Se io dico che le miscele non sono di buona qualità in modo generalizzato devo poter avvalorare l’ipotesi. Anni fa abbiamo condotto un lavoro analogo per Altroconsumo su 10 bar storici di Milano e 10 di Roma, e nessuno ha avuto a che ridire sui risultati, neppure i bar che non avevano avuto valutazioni positive».
Il ruolo dei torrefattori
La qualità del caffè non rappresenta tuttavia l’unico elemento in discussione. Anche le torrefazioni sono infatti entrate nel mirino dell’inchiesta. Non di rado, queste ultime - rileva Report - si sfidano sul terreno del servizio, spingendosi a offrire attrezzature in comodato d’uso, a regalare tavoli e insegne, e perfino a finanziare la ristrutturazione dei locali a fronte di contratti di fornitura in esclusiva. La bontà delle miscele utilizzate rischia in questo modo - sostiene il programma di Rai Tre - di passare in secondo piano. La questione non sembra però così generalizzabile. Di certo, i fornitori di miscele hanno interesse a fidelizzare i propri clienti. Ma vero è anche che questo passaggio non implica necessariamente la creazione di legami vincolanti, che possono poi incidere negativamente sulla bontà dell’espresso. «Posto che qui usciamo dal mio stretto campo di competenza e quindi posso solo fornire un parere del tutto personale - afferma Odello -, penso che in una trattativa le componenti in gioco siano molte ed è l’onestà che ne determina la congruità. Affermare, quindi, che il comodato costituisce un fattore discriminante sulla qualità delle miscele è come dire che quelli che hanno le gambe più lunghe corrono più veloci. Se fosse vero, che bisogno ci sarebbe di fare gare? Sarebbe sufficiente misurare le gambe».
[caption id="attachment_26953" align="alignleft" width="143"] Luigi Zecchini[/caption]
E dello stesso parere è anche Luigi Zecchini, presidente Inei e presidente del Consiglio di Amministrazione della società titolare dei marchi Filicori Zecchini e Club Kavè: «Gli strumenti di carattere finanziario sono a volte utilizzati dai torrefattori, peraltro spesso su richiesta dei clienti che hanno difficoltà ad accedere al credito bancario, ma questa non è certo la regola».
La mancanza di pulizia
Tra i capi di imputazione mossi da Report ai bar italiani figura poi quello di una poco accurata pulizia dei macchinari. è frequente - ha infatti sostenuto la trasmissione - che il caffè sia servito utilizzando acqua sporca e piena di residui cotti centinaia di volte. I gestori, insomma, spesso non procedono a una operazione essenziale come il purge, che frequentemente viene eseguita soltanto a fine giornata, se non addirittura una sola volta alla settimana. E altrettanto vale per i filtri che non vengono depurati dai residui. I quali, a loro volta, vengono liberati nella tazzina con risultati non certo apprezzabili sul fronte del gusto dell’espresso.
[caption id="attachment_26955" align="alignright" width="169"] Gianfranco Carubelli[/caption]
«La pulizia delle macchine e dei macinini incide per ben il 20-25% sulla riuscita dell’espresso - rileva Gianfranco Carubelli, a.d. e socio di Asachimici-PulyCAFF, Scae Member -: rappresenta quindi un passaggio fondamentale. Purtroppo, però, dobbiamo rilevare che la conoscenza su questo tema è ancora largamente insufficiente. Riscontriamo, infatti, corpose lacune tanto nei baristi, che spesso agiscono sulla base del “sentito dire”, quanto nei formatori, che non sempre si mostrano all’altezza del compito. Per contro, va detto che, stando anche al riscontro molto positivo registrato dai corsi proposti con la formula “PulyDay” attivata da Asachimici-PulyCAFF su tutto il territorio nazionale, l’interesse nei confronti di percorsi formativi focalizzati su questi temi è alto. Sono quindi piuttosto ottimista: se oggi forniamo un’adeguata preparazione alle nuove leve, domani potremo contare su baristi competenti e capaci di maneggiare correttamente macchine che, pur non essendo pericolose, lavorano pur sempre a temperature molto alte, superiori ai 90 gradi, e con una pressione pari a ben 9 atmosfere».
Formazione non sufficiente
Quello della carenza formativa costituisce, quindi, un nodo critico rilevante. «In effetti, il problema esiste - conferma Zecchini -. L’eccessiva facilità con cui in passato si sono potuti aprire bar non ha aiutato a creare le condizioni perché la preparazione del personale raggiungesse sempre buoni livelli. E la mancanza di professionalità si riflette inesorabilmente sul modo di proporre l’espresso. Occorre quindi potenziare le attività e le occasioni che consentano di diffondere la cultura del caffè, sensibilizzando sia gli esercenti sia i consumatori. Occorre, in altre parole, seguire un percorso simile a quello già sperimentato per il vino. E per fare questo credo che, pur senza creare troppi lacci e lacciuoli, sarebbe auspicabile subordinare la possibilità di gestire un locale alla frequentazione obbligatoria di una scuola alberghiera o di corsi certificati, oppure all’attestazione di un periodo di apprendistato svolto presso esercizi qualificati». Anche le aziende produttrici possono però fare la propria parte. «Nel caso di Filicori Zecchini, per esempio - aggiunge Zecchini - abbiamo dato vita a una scuola, il Laboratorio dell’Espresso, che propone corsi di diverso livello. Si tratta di un’iniziativa economicamente onerosa, ma reputiamo che questo impegno sia indispensabile».
Giudizi troppo severi?
[caption id="attachment_26956" align="alignright" width="195"] Andrej Godina[/caption]
I problemi, insomma, ci sono, è inutile negarlo. L’impressione però è che Report abbia puntato l’indice, sottolineando con particolare enfasi gli aspetti negativi riscontrati nel modo di servire il caffè nei bar italiani. E ad avvalorale la tesi vi è il fatto che nessun locale visitato nell’ambito dell’inchiesta ha raggiunto la sufficienza nella valutazione degli esperti. Viene allora spontaneo chiedersi: le maglie di giudizio utilizzate da quest’ultimi sono forse state stroppo strette? «La redazione giornalistica di Report - risponde Andrej Godina, uno dei professionisti chiamati in causa durante la puntata - mi ha invitato a visitare alcune caffetterie nelle città di Napoli e Firenze, scelte a caso nell’ipotetico percorso che un turista potrebbe percorrere a piedi nel centro della città. E il programma ha evidenziato, forse anche per motivi di durata dell’inchiesta, alcune valutazioni omettendo quelle, a dire il vero in minoranza, che avevano un esito positivo. Da quanto ho potuto vedere durante la trasmissione, credo che l’intento fosse quello di evidenziare le criticità del sistema caffè espresso in Italia, che spesso offre alla clientela un caffè di bassa qualità. Fortunatamente però sono presenti nel nostro Paese anche eccellenze in grado di offrire una tazzina di caffè e che, secondo il mio giudizio, ottengono valutazioni più che sufficienti». Si tratta, insomma, di scegliere bene il bar dove gustare il nostro espresso.
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