spirits
08 Novembre 2016Kevin Ragaven, inizia a parlarci un po’ di te…
Mauriziano di origine, sono arrivato a Palermo a 10 anni e a Milano a 14. Nella vita pensavo di fare il grafico pubblicitario finché non mi sono innamorato del banco. Nel 2004 ho avuto la possibilità di iniziare il mio percorso al Juleps, dove ho avuto maestri del calibro di Oscar Quagliarini. Ho poi partecipato all’avviamento dello Speakeasy 1930. È seguito poi un percorso di ricerca che mi ha portato a Parigi e a Melbourne dove ho avuto modo di sperimentare, conoscere nuovi prodotti, nuovi consumatori e misurarmi con culture diverse. La mia filosofia di miscelazione si riassume in quattro parole: armonia, equilibrio, eleganza e attenzione al cliente.
Vermù nasce dagli stessi creatori del primo gin bar di Milano, di che si tratta?
Vermù è la prima e unica vermuteria di Milano. Monoprodotto, qualità, conoscenza, più un pizzico di nazionalismo sono i must di Vermù e ciò che mi ha fatto salire a bordo di questa avventura. Il vermut (scritto all’italiana) è un prodotto che dovrebbe essere considerato patrimonio dell’italianità, nonché, visto che siamo a Milano, simbolo di quella Milano da bere che ha reso la nostra città emblema del “savoir vivre”. Il locale è un piccolo salotto con 20 posti a sedere (oltre quattro sedute al banco per i più fortunati) in cui si respira un clima che a noi piace definire analogico, non retrò. Spiegarlo è complesso.
In Spagna il vermut è celebrato e bevuto liscio ovunque, in Italia invece sembra essersi nascosto timidamente dentro al Negroni, Americano e Manhattan, come mai?
In Spagna è stata addirittura sdoganata “el hora del Vermut” quasi come il “tea time” inglese. Tuttavia i prodotti spagnoli sono a mio parere lontani anni luce da quelli italiani. In Italia il vermut è stato per decenni dimenticato, quasi stigmatizzato perché troppo poco contemporaneo. Oggi c’è grande interesse anche grazie a una community di bartender che sta cominciando a praticare un’arte sempre più caratterizzata dalla riscoperta di prodotti tradizionali e – in alcuni casi – nazionali. Anche i produttori alzano l’asticella della qualità e lo rendono un prodotto piacevole anche per la degustazione liscia, in alternativa a un classico bicchiere di vino. Tuttavia sono moltissimi i clienti che arrivano da noi senza avere mai assaggiato un vermut in purezza nella loro vita. E questo è colpa di tutti: nessuno escluso.
Come viene reinterpretato questo prodotto a Vermù?
Da noi il vermut ha tre declinazioni. Si parte dalle circa 40 etichette tra rossi, bianchi e dry da degustare al calice rigorosamente senza soda. C’è poi una drink list sviluppata appositamente per esaltare il vermut e nuove proposte ogni settimana in base alla stagionalità dei prodotti. E ancora il vermut vive nei grandi classici dell’IBA. Il tutto condito da quella passione e conoscenza del prodotto e da un sorriso al banco. Merce rara in questi tempi. Il vermut in Italia è legato al nostro DNA, quindi è solo questione di riscoprirlo per avere l’impressione di averlo sempre bevuto o di non avere mai smesso di berlo.
LA CLASSIFICA DEGLI SPIRITS DI KEVIN RAGAVEN
Gin e vermut: cosa ne pensano Silvio Faraone e Kevin Ragaven
Silvio Faraone: “Il bartending è la mia passione”
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