spirits
24 Gennaio 2017Sdoganata l’idea che “il mondo è degli uomini”, finalmente le donne hanno la loro rivincita anche in miscelazione. Tatiana è una bartender grintosa, affascinante e che non si lascia spaventare dai cambiamenti. A noi ricorda un po’ la scrittrice e blogger Diablo Cody, con quel fascino sospeso fra una pinup e un rocker. Le abbiamo chiesto di raccontarci un po’ di lei e del mondo del bar con uno sguardo tutto al femminile.
Alcune bambine sognano di fare le veterinarie o le maestre, quando hai cominciato a sognare il banco bar?
Non a caso anch’io da piccola desideravo fare la veterinaria! Ero spinta dall’amore per gli animali ma passare ore a casa a studiare non faceva per me, ero sempre alla ricerca di un campetto di pallacanestro dove giocare. Il bartending mi reclamò in un momento in cui non sapevo cosa volessi fare del mio futuro, mi fece palpitare il cuore alla prima sera passata dietro al bancone e da allora non ha mai smesso. Hai cominciato facendo spritz in un bar di Vicenza, la tua città natale.
Ti sei mai dovuta battere contro resistenze e pregiudizi legati al fatto che è una professione storicamente legata alla figura maschile?
È una domanda retorica? Voglio un gran bene a Vicenza ma devo ammettere che la mentalità in città è sempre stata puritana. Più che resistenze, mi sono trovata a difendermi più volte da attacchi verbali e fisici da parte di clienti maleducati e ignoranti che si prendevano troppe libertà. Alcune persone sono ancorate alla mentalità del 1860 quando le prime barmaid erano considerate donne di facili costumi.
E al bancone preferisci lavorare con donne o uomini?
Più che per una differenza di sesso, io separo tra “hard workers” e “lazy asses”. Partendo da ciò, la mia empatia è direttamente proporzionale al grado di professionalità dei miei colleghi. Ho avuto momenti di difficoltà dovuti a episodi di incompetenza a prescindere dal sesso. Nel mio bar ideale ci sono barman e barmaid che lavorano insieme per creare un ambiente rilassato e un drink menu bilanciato e completo.
A un certo punto diventi bartender viaggiatrice… Ci racconti le tappe più importanti?
Sono molte le tappe ma i momenti fondamentali due: Museo Chicote e BOCA. Fui chiamata al Museo Chicote da Francesco Cavaggioni che mi chiese di far parte del team per il reopening di questo storico american bar: il primo in Spagna che ha aperto i battenti sulla Gran Via nel 1931. Allora arrivavo da due anni di Hard Rock Café che, seppur mi avessero dotato di speed service e organizzazione maniacale, in quanto a miscelazione non mi avevano formato molto. Il primo giorno che misi piede dietro “la barra” del Museo Chicote mi si avvicinò Miguel Perez (oggi Head Bartender del Solange Cocktails and Luxury Spirits, nella lista dei 50 Best Bars of the Year 2016) e con tre boston colmi mi chiese: “Salve, potresti shakeare questi per me?”. Furono i miei tre primi Cosmopolitan. Anni dopo sono diventata Head Bartender al BOCA di Dubai. Grazie a un bar team invidiabile (su tutti Jan Liska e Laura Duca) ho ampliato le mie conoscenze sui distillati, dando inoltre più spazio ai vini e al management. Spesso l’amato-odiato lavoro d’ufficio fatto di numeri, costing, pricing, excel e bla bla bla, mi teneva lontana dal bar ma è indispensabile per la professionalità di un bartender. BOCA mi ha anche dotato di importanti nozioni culinarie: a volte passavo giornate intere in cucina, lo Chef Maxime Le Van è stato sempre una guida disponibile e aperta per aiutarmi ad applicare in miscelazione le tecniche apprese e realizzare cose che sembravano impossibili.
Da alcuni anni vivi a Dubai, una città che per religione ha una visione molto diversa della donna rispetto a quella occidentale…
Personalmente non vedo la donna in una situazione di soggezione, stiamo parlando comunque di Dubai e non di Arabia Saudita. Devo spezzare una lancia a favore degli Emirati Arabi e in particolare di Dubai, la metropoli più sicura e cosmopolita del Medio Oriente. Qui non ho mai dovuto chiamare la security per far allontanare un cliente inopportuno. Più in generale, posso dire che non mi piace il burqa nella stessa maniera in cui non mi piacciono i pantaloncini altezza natiche. Trovo aberranti entrambi ma non sono obbligata a indossare nessuno dei due.
Parlaci delle drink list create a Dubai, per BOCA e Ting Irie.
Boca è un ristorante mediterraneo con sharing concept e il bar menu che avevo strutturato seguiva la filosofia della cucina ed era focalizzato su prodotti mediterranei (vermouth, amari, sherry, aperitivi) e su cocktail dalla presentazione semplice ma composti da ingredienti altamente elaborati. Il Bonjour Mary richiede almeno 4 ore di preparazione: arrostire i pomodori e peperoni nel forno, triturare, filtrare, aggiungere un mix composto da 11 diverse spezie... e questo senza contare la spuma di sedano! In Ting Irie invece sono stata responsabile del drink menu e della formazione dei bartender con un menu a base di rum e che strizzava l’occhio a prodotti tipici giamaicani come platano e salsa jerk. Purtroppo, ad oggi non hanno ottenuto la licenza per la somministrazione di superalcolici, quindi il menu non ha visto la luce. È stato interessante lavorare con un intero team proveniente dalla Giamaica, bellissime persone di gran cuore e sempre sorridenti.
Attualmente di cosa ti occupi e che progetti hai per il futuro?
Sono Head Mixologist nel team di apertura di The Address Boulevard Dubai, a pochi metri dal Burj Khalifa, il più alto edificio al mondo. Il bar principale (ce ne saranno 4 in totale) si trova all’interno del The Restaurant. Ci saranno nove diverse aree, chiamate room. Il bar avrà il bancone al centro della stanza dei giochi dove il tavolo comune ricorderà un biliardo, nelle altre stanze i clienti potranno leggere e scambiarsi libri oltre che ascoltare vinili da un grammofono. Sono super eccitata, il progetto è fantastico e apriremo a febbraio. Allo stesso tempo, mi sono registrata come cuoca apprendista nella piattaforma Chefxchange, per cene private ed eventi. La passione per la cucina è cresciuta grazie al mio compagno che è chef stellato e ha tirato fuori la cuoca provetta nascosta in me.
Lavorando e vivendo all’estero sei un passo avanti allo scenario italiano: cosa dobbiamo aspettarci?
Durante gli ultimi anni ho visto grandi cambiamenti generali e i filoni che secondo me avranno seguito anche in Italia sono due: il nuovo ruolo della donna al bar e una miscelazione zero waste. Quando ho cominciato la mia carriera era abbastanza inusuale vedere donne lavorare in questa industria, oggi la presenza femminile è aumentata esponenzialmente, basti pensare a brand ambassador come Stephanie Jordan (Tanqueray Global B.A.), Ximena Cervantes (Bombay Sapphire South Europe B.A.) e molte altre ancora. I grandi brand si sono resi conto che le donne apprezzano spirits e cocktails e rappresentano una fetta di mercato sempre più ampia. Non di meno la figura femminile è aumentata anche in competizioni come World Class. In merito all’altra tendenza, tutto parte dalla gastronomia e dal tanto citato kilometro zero: finalmente anche i bartender cominciano a usare ingredienti locali e stagionali, riducendo gli sprechi e l’impatto sull’ambiente. Insomma, basta ai Daquiri alla fragola a Dicembre. Le fragole di serra inquinano e il sapore è deludente. Si possono usare puree ma sono altamente zuccherate e alla lunga nocive per la salute. Io cerco sempre di minimizzare gli sprechi al lavoro, bastano alcune accortezze: quando estraggo succo dall’ananas con la centrifuga e dopo due giorni non l’ho finito, lo chiarifico per allungarne la shelf life di almeno quattro giorni. Sfrutto la polpa per fare delle chips con l’essiccatore e con la buccia preparo uno shrub di ananas. Bisogna cominciare a rispettare di nuovo il mondo dove viviamo, ne abbiamo uno solo ed è per sempre!
Cocktail, le ricette di Tatiana Pertegato
Up & Down: la classifica degli spirits firmata da Tatiana Pertegato
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A cura di Matteo Cioffi
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