bevande

20 Giugno 2016

Vino, come (e perché) cambia l’offerta

di Manuela Falchero


Vino, come (e perché) cambia l’offerta

Diminuisce la quantità, ma cresce la richiesta di qualità. È questa la dinamica all’interno della quale si stanno muovendo i consumi di vino in Italia. I più recenti dati rilasciati da Assoenologi confermano, infatti, che nel corso del 2015 si sono consumati meno di 36 litri pro capite, un valore ben lontano dai 45 litri registrati nel 2007. Al contempo, però, negli ultimi anni l’attenzione verso l’eccellenza o la particolarità del prodotto è notevolmente aumentata: “se scelgo di bere vino - pare il credo comune -, cerco di farlo bene, altrimenti meglio una birra o addirittura nulla”. La qualità tuttavia costa. E qui entra in gioco una terza, delicata, variabile: il prezzo. Stretti dalla morsa della crisi, gli italiani hanno infatti dovuto contenere le spese, tagliando anche quelle relative alla bevanda di Bacco. E questo, tanto nella degustazione domestica quanto in quella fuori casa.

I VANTAGGI DEL CALICE

La ristorazione si è quindi trovata difronte a una sfida non facile: coniugare l’esigenza di contenere lo scontrino, aumentando allo stesso tempo la qualità. La soluzione? Una delle strade intraprese più frequentemente – almeno stando alle dichiarazioni raccolte in questa inchiesta da Mixer – sembra essere quella del vino alla mescita.

[caption id="attachment_99846" align="alignleft" width="289"]LUCA PROSPERI DELL’ALAMBICCO DI CERMENATE LUCA PROSPERI DELL’ALAMBICCO DI CERMENATE[/caption]

“Gli avventori oggi sono molto più attenti e informati tanto sulle proprietà dei prodotti serviti quanto sul fronte dei costi in merito al quale valutano sia il valore assoluto sia quello comparato con i prezzi praticati sul mercato da negozi e distribuzione – spiega Luca Prosperi, titolare della Pizzeria con cantina L’Alambicco di Cermenate in provincia di Como nonché sommelier professionista –. Per potere soddisfare le esigenze di questa clientela ho quindi scelto di puntare sul servizio al calice. E per farlo ho investito in innovazione. Ho infatti adottato un efficace sistema di conservazione delle bottiglie che utilizza il gas inerte Argon e che consente di mantenere inalterate le proprietà organolettiche del vino fino a cinque settimane. Potendo quindi contare su un tempo piuttosto consistente per esaurire il contenuto di ogni singola referenza aperta, ho potuto allargare il numero di etichette inserite nella carta alla mescita – oggi variano da 6 a 8 e passano dai bianchi ai rossi senza dimenticare i passiti – alzando allo stesso tempo il livello qualitativo dell’offerta. Ho potuto, insomma, destinare alla mescita anche bottiglie di pregio, che altrimenti non potrebbero essere servite a calice perché troppo costose per poter correre il rischio di non venderle nel lasso di pochi giorni. La svolta tecnologica portata da questo nuovo macchinario a gas non deve perciò essere valutata solo in termini di ammortamento della spesa, ma anche sotto il profilo del servizio reso ai clienti. I vantaggi per questi ultimi sono infatti molti: viene contenuta la spesa, dal momento che i prezzi a calice variano dai 6 ai 9 euro, si limita la quantità assunta, rispettando così le indicazioni alcolemiche previste dalla legge per mettersi poi alla guida di un’auto, e infine si ha l’opportunità di degustare più vini in una stessa serata”.

Tutti vantaggi che hanno convinto anche Stefano Giancotti, proprietario del Veritas di Napoli, a proporre un’intera carta dei vini degustabili alla mescita. “Ho deciso – rivela Giancotti –. di rendere disponibili al calice tutti i vini presenti nella mia cantina, circa 400 etichette provenienti dalle aree vocate di tutto il mondo”. Unica condizione: non superare il limite di venti bottiglie aperte e disponibili per il servizio al calice. Raggiunta questa soglia, l’ospite si trova davanti a una doppia possibilità: optare per una delle venti referenze aperte oppure ordinare un calice per terminare una bottiglia per poi aprirne una nuova a sua scelta.

[caption id="attachment_99845" align="alignleft" width="258"]LORENZO, SILVIA E ALBERTO DEL BICERÌN DI MILANO LORENZO, SILVIA E ALBERTO DEL BICERÌN DI MILANO[/caption]

Due casi isolati? Tutt’altro. Sulla stessa linea si pone pure il Bicerìn di Milano: “Tanto gli italiani quanto gli stranieri preferiscono un calice di buon vino, puntando sulla qualità e non sulla quantità – spiega Silvia Amoni, che gestisce il locale insieme ad Alberto Gugliada e Lorenzo Viola –. Ci è venuta così l’idea del wine sharing: dal 22 febbraio, ogni settimana sulla pagina Facebook e sul sito web della nostra enoteca e wine room annunciamo una preziosa bottiglia in degustazione – parliamo di annate speciali o formati introvabili –, che può essere condivisa da tavoli composti da un massimo di 6 persone. In calendario vi sono sette appuntamenti pensati per consentire a tutti gli appassionati di scoprire bottiglie rare, conoscere persone dai gusti affini e confrontarsi sulle emozioni che queste bottiglie trasmettono”.

[caption id="attachment_99847" align="alignleft" width="254"]MAURIZIO MENICHETTI DEL CAINO DI MONTEMERANO, MAURIZIO MENICHETTI DEL CAINO DI MONTEMERANO,[/caption]

Non tutti però concordano con la tesi. “In linea generale sono contrario alla mescita – confessa Maurizio Menichetti proprietario insieme a Valeria Piccini del bistellato ristorante Caino di Montemerano in Toscana –: se non si è ben organizzati, infatti, difficilmente si può garantire la qualità del prodotto servito. E per essere ben organizzati occorrono attrezzature specifiche che a loro volta richiedono ampi spazi, non sempre disponibili in locali come il nostro. Così, al momento ho preferito optare per la mezza bottiglia: anche questa formula ormai propone, in Italia e all’estero, una grande qualità e peraltro reputo si accompagni meglio ai menu strutturati che offre il Caino. E la proposta è stata ben accettata dalla nostra clientela. Non escludo tuttavia di sperimentare in futuro macchinari che utilizzano il gas inerte, ma soltanto per proporre calici da servire in abbinamento a menu degustazioni”.

PAROLA D’ORDINE: BEVIBILITÀ

[caption id="attachment_99848" align="alignleft" width="300"]PAOLO TEVERINI PAOLO TEVERINI[/caption]

Se sulla mescita le opinioni sono variegate, non altrettanto vale invece quando si parla delle preferenze dei consumatori in fatto di tipologie di vino. “I gusti enogastronomici sono cambiati – rileva Paolo Teverini, patron dell’omonimo ristorante di Bagno di Romagna –. E questo per due ordini di ragioni. Il primo è di natura economica: in un momento generale non felice, il consumatore diminuisce gli acquisti ritenuti non indispensabili, tra cui anche quelli del vino. Così oggi al ristorante vendere una bottiglia che costi più di 30 euro sta diventando raro. Il secondo, invece, si deve ricondurre al cambiamento in atto degli stili di vita: ritmi sempre più intensi e serrati hanno portato a dedicare alla tavola minor tempo. Tempo che, peraltro, non viene più impiegato per assaporare i piaceri del cibo e del bere, ma spesso coincide con incontri di lavoro o semplicemente momenti di convivialità. E da qui la scelta di limitare il consumo di vino, così da non appesantirsi o da potersi poi mettere alla guida immediatamente dopo il pasto. Il risultato dei due trend combinati è la sempre più forte preferenza accordata ai vini meno alcolici e più facili da bere. In buona sostanza, il consumatore cerca una qualità facile da comprendere: preferisce, insomma, i vini che danno del “tu” a quelli che vogliono il “lei””. E dello stesso avviso è anche Giancotti: “Stando a quanto vedo nel mio ristorante, gli avventori tendono ad evitare vini ad alta gradazione alcolica: è raro, infatti, ricevere un’ordinazione di Primitivo o Amarone. Certo, va detto che menu prevalentemente a base di pesce come il nostro si sposano meglio a vini più leggeri, ma a mio avviso il trend è generale e prescinde dal nostro specifico caso: in campo enologico la scelta del consumatore si è nel tempo indirizzata sempre più verso la bevibilità”.

MENTORI DEL PRODOTTO

[caption id="attachment_99849" align="alignright" width="300"]IL ROSCIOLI DI ROMA IL ROSCIOLI DI ROMA[/caption]

I trend tuttavia non sono diktat: non è sempre obbligatorio seguirli. Ad esserne convinto è il top–sommelier del romano Roscioli, Alessandro Pepe: “Dopo aver trascorso i primi anni della mia carriera a inseguire le tendenze di maggior rilievo – racconta Pepe – mi sono chiesto: perché non creare noi stessi le tendenze?” E l’esperimento è riuscito. “Un tempo il Lambrusco a Roma era praticamente sconosciuto – osserva Pepe –: oggi nel nostro locale se ne vende quasi più che a Bologna”. Ma lo stesso si può dire anche parlando di champagne e prosecco. In un clima generale che ha fortemente rivalutato le bollicine italiane, “Noi abbiamo puntato sulla Francia. E con successo” commenta ancora Pepe con soddisfazione.

LE RICHIESTE ALLE AZIENDE

Bicerin 1Il compito di indicare la strada, secondo il sommelier di Roscioli, non spetta però ai soli ristoratori. Anche le aziende vinicole sono chiamate a svolgere un ruolo importante. “Sono convinto – precisa Pepe – che se i produttori non venissero incontro alle indicazioni del mercato, ma seguissero i propri gusti, il mercato ne trarrebbe un indubbio beneficio: potremmo valorizzare il nostro specifico patrimonio enologico. Perché, per dirla con una metafora cinematografica, l’Italia non può competere con i “blockbuster” internazionali, ma può tornare ad eccellere seguendo il modello “Fellini”. Il problema è che si dovrebbe trattare di un’azione corale”. Un giudizio piuttosto severo, quello di Pepe, che non risulta tuttavia condiviso da tutti. “Con i miei fornitori abituali – rileva Menichetti – posso contare su uno scambio continuo. Considero quindi la loro offerta soddisfacente e tarata sulle mie necessità”. E così vale anche per Prosperi: “A mio parere, le cantine italiane – per scelta commerciale il mio locale si serve solo da nomi nazionali – hanno svolto un ottimo lavoro sia sotto il profilo qualitativo sia sul fronte della comunicazione. Posso avanzare un’unica richiesta: i fornitori diretti potrebbero superare il vincolo di ordine delle 6 bottiglie e dare invece la possibilità ai ristoratori di acquistare cartoni misti. Sono convinto, infatti, che questa formula aiuterebbe le case vinicole a fare conoscere l’intera produzione e allo stesso tempo faciliterebbe i ristoratori nel proporre un’offerta più ampia e differenziante”. Un tema, quest’ultimo, su cui torna pure Giancotti: “Sarebbe utile che i fornitori proponessero carte con ordini meno importanti – concorda il patron di Veritas –. Ma penso anche che altrettanto valida potrebbe rivelarsi l’idea di fare assaggiare i vini agli esercenti. Vini che dovrebbero poi essere raccontati da chi li propone Bicerin 2attraverso una storia sul prodotto in grado di incuriosire il ristoratore”. La comunicazione è del resto una leva imprescindibile su cui la filiera potrebbe lavorare ancora di più: “Il cliente è sempre più attento alla qualità del vino e, per questo, molte volte è importante che l’etichetta della bottiglia sia chiara e “parlante” – nota Silvia Amoni –. Il consumatore è infatti affamato o, in questo caso, assetato di notizie e vuole conoscere il più possibile quello che sta consumando, sapere di cosa è fatto quello che sta bevendo”. Produttori e ristoratori sono avvisati.

PROPOSTE CREATIVE: Il diritto di tappo

A Napoli, il ristorante Veritas dà ai propri avventori una possibilità in più in fatto di vino: con un costo di 10 euro a bottiglia, i clienti possono consumare durante il pasto un vino portato da casa.

Vino naturale: moda passeggera o tendenza emergente?

Osservatorio del vino italiano: tutti i numeri della bevanda di Bacco

TAG: WINE BAR,MIXER 285

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