caffè
18 Aprile 2017Il Comitato Italiano Caffè partecipa con Sca e Ucimac ai lavori per la definizione del manifesto dell’espresso italiano. Parla il Presidente Massimo Cerutti.
[caption id="attachment_121373" align="alignleft" width="209"] Massimo Cerutti[/caption]
Presidente, qual è la posizione del CIdC rispetto all’iniziativa di SCA che propone la redazione di un manifesto dell’espresso italiano per definirne qualità e identità?
Nel nostro Paese è un argomento presente da tempo, un tema che siamo onorati di perseguire benché CIdC abbia obbiettivi differenti da UCIMAC e SCA che partecipano all’iniziativa. In questo momento, non avendo alcuna posizione precostituita siamo aperti a valutare qualunque soluzione. Nel nostro caso il processo che porterà a esprimere una posizione condivisa richiederà del tempo dato che CIdC conta 75 iscritti tra torrefattori e operatori del settore, ivi compresi gli addetti alla logistica. Oggi, dopo un processo di aggregazione che ha portato a ricomprendere anche altre associazioni, possiamo dire che CIdC rappresenta l’81% della filiera italiana del caffè.
Per arrivare a una soluzione concreta sotto l’aspetto operativo, come procederà il Comitato Italiano del Caffè?
Entro la prossima riunione di CIdC, che avverrà nell’arco di un paio di mesi, verranno eletti dei tecnici provenienti da alcune delle aziende associate. Persone con un’expertise tecnica tale per poter collaborare nell’ambito dell’iniziativa di SCA per fornire un contributo concreto.
In merito alla definizione di caffè espresso di qualità qual è la sua personale opinione?
Per darle una risposta esprimo tre concetti. In primo luogo in Italia il caffè si fa dal 1600 e siamo ancora tutti vivi…Battute a parte il tema è importante e una migliore definizione aiuterà di sicuro l’interazione tra caffè e macchina per l’espresso. Secondo concetto. È chiaro che il sistema caffè Italiano è un grande driver di esportazione e nel contempo una leva di sviluppo per l’immagine del sistema Italia all’estero. La definizione dell’espresso allo stato attuale è molto astratta e fantasiosa essendosi formata quasi spontaneamente in giro per il mondo. Questo dipende anche dalle credenze che all’estero hanno a proposito dei prodotti italiani. E altresì dai luoghi comuni determinati dall’italian sounding quindi dall’imitazione del prodotto made in Italy. Anche se ritengo che essere copiati è un vanto.
Molti vorrebbero corredare il sistema del cup of exellence che si usa per valutare il caffè crudo con una scheda di certificazione specificamente dedicata al caffè espresso. Quale il suo pensiero in merito?
Non vorrei che dando una definizione fondata su criteri di qualità molto stringenti si penalizzassero i livelli di qualità dell’espresso più commerciali, nessuno dei quali andrebbe escluso. Nel nostro settore come nell’automotive: esiste la “Ferrari del caffè” così come l’utilitaria.
Negli ultimi anni si parla anche di decommotizzazione del caffè come un “fenomeno da cavalcare” per migliorare l’economia del settore. È d’accordo?
Era il terzo concetto che volevo esprimere. Se per decomoditizzazione si intende l’uscita dal mondo della commodity che vede merceologie come lo zucchero, il grano, o appunto il caffè, alla stregua di ammassi dalla qualità standard venduti allo stesso prezzo a tutte le imprese sul mercato internazionale, le rispondo che, per quanto concerne il caffé in Italia non abbiamo mai avuto la commoditizzazione, perché qualunque torrefattore italiano già da diversi decenni tratta le sue miscele, le sue tipologie di caffè e le sue monorigini su differenti livelli di qualità. Quindi possiamo discutere se siano piacevoli al gusto, ma quel che è sicuro è che il mercato italiano tratta innumerevoli tipologie offrendo da tempo un’ampia differenziazione.
Quale allora lo stato di salute del mercato italiano?
Si guardi l’andamento delle esportazioni di caffè torrefatto nel nostro Paese. Secondo l’ultimo rapporto completo che abbiamo, nel 2015 in Italia sono stati importati 9,3 milioni di sacchi. Di questi 5,6 milioni sono stati consumati nel nostro territorio, mentre 3,7 milioni esportati per una percentuale di export pari al 40%. Se facciamo il confronto con i dati dell’ultimo decennio il consumo interno è sempre lo stesso. L’esportazione invece è raddoppiata. Un successo dell’intero “sistema filiera” del caffè Italiano, che evidentemente ha delle competenze nel trattare il prodotto.
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