pubblici esercizi
26 Gennaio 2021Alessandro Beggio, partiamo dal personale. Che cosa ti manca di più oggi?
Tutto: mi manca la vita. Quella vera, fatta di concerti in mezzo a 75mila persone, di spensieratezza sociale, di cultura, arte e compagnia. Fatta anche di aria in faccia. Detesto camminare con la mascherina e imbattermi in sguardi tesi e preoccupati. Non ci sono più sorrisi e la mimica facciale è compromessa. E ancora. Mi manca la libertà di poter decidere il mio domani, di essere alla guida del mio futuro.
Veniamo al lavoro. Venezia da anni vive di turismo. Tu, che hai sempre coltivato la clientela locale, hai subito molto l'assenza dei turisti?
A livello del tutto personale, non molto. I nostri clienti affezionati hanno apprezzato impegno e dedizione e dopo il primo lockdown di 80 giorni sono tornati da noi numerosi, cancellando la negatività che ci avevano lasciato marzo, aprile e quasi tutto maggio.
Però, complice l’informazione allarmistica che ha caratterizzato il racconto dell’epidemia fin da febbraio 2020, la paura poi si è radicata tra la gente e ai primi allarmi di una seconda ondata sono diminuiti gli avventori.
Detto questo, gli effetti catastrofici del drastico calo dei turisti nelle città d’arte italiane dovrebbe fare riflettere il Governo. C’è qualcosa di insano nella gestione economica delle principali mecche del turismo italiano, da Venezia a San Gimignano, fino a Firenze. Incanalare quasi tutte le energie nel turismo -magari straniero- snatura i luoghi. Di fatto, in queste città buona parte degli appartamenti ormai viene affittata a studenti o turisti. E nel momento in cui loro vengono a mancare crolla tutto il sistema economico. Anche perché in queste località il costo della vita si è alzato al punto da allontanare i cittadini. Un esempio su tutti: Venezia ormai è una città mezza vuota, con poco più di 52 mila abitanti.
[caption id="attachment_182667" align="aligncenter" width="696"] Alessandro Beggio, ph. Nicole Cavazzuti[/caption]
Il concept del Time ha dovuto inevitabilmente cambiare. Come lo hai trasformato e come vivi il tuo lavoro in questo periodo?
È stato pesante. Io aprivo alle 18. Non ho ritenuto il caso di cambiare l'orario perché non avrei avuto abbastanza clienti. Chi comincia a lavorare alle 9 e finisce alle 18 non si prende certo una pausa o un permesso per andare a bersi un Negroni al bar. Chi è disoccupato, invece, non spende soldi. Quanto ai vecchietti del quartiere, loro hanno già il loro posto di fiducia. Ho dovuto quindi incentivare il consumo a casa dei nostri drink, puntando molto anche sulla fantasia nei packaging.
Se sono soddisfatto? Non molto. Meglio che niente, certo. Ma preparare una bevanda in un box è come chiedere a un artista di esibirsi senza pubblico. Se non si sono alternative, lo fa. E magari bene. Ma gli manca la gratificazione dell’applauso. Così come a noi mancano il sorriso e la felicità degli ospiti.
Alessandro Beggio, che cosa ti aspetti per il futuro?
Primo, temo che anche il 2021 sarà compromesso dall’emergenza Covid-19. Secondo, quando nel 2022 spero torneremo a vivere, credo che nei bar non ci sarà più spazio per mediocrità e improvvisazione. Vincerà la qualità.
Negli anni del post proibizionismo gli americani cercavano nei drink un alto tasso alcolico. Pensi che accadrà la stessa cosa in Italia?
Penso proprio di sì, sicuramente non coinvolgerà tutto il pubblico appassionato ma il periodo inciderà sulla scelta e i gusti degli avventori. E credo che per vari motivi punteranno spesso sul grado alcolico importante.
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