pubblici esercizi
20 Settembre 2012La riforma del lavoro è approdata in Gazzetta Ufficiale ai primi di luglio, a conclusione di un lungo e spinoso iter di redazione del testo legislativo, iniziato a marzo e conclusosi a fine giugno. Ma appena nata ha già avuto bisogno di alcuni aggiustamenti e forse non saranno gli ultimi.
UNA RIFORMA EPOCALE?
Per una riforma del lavoro definita epocale non è il massimo. Il fatto che alla fine sia stato raggiunto un risultato del quale probabilmente nessuna delle parti in causa si sente, come succede spesso in questi casi, completamente soddisfatto, ha fatto dire a molti che l’obiettivo è raggiunto: quasi mai un accordo soddisfa completamente tutti. Ci sarà sempre da parte di qualcuna delle parti in causa il rammarico per un risultato atteso e non raggiunto.
In realtà sia le parti sociali, imprese e sindacato, rispetto alle premesse iniziali hanno dovuto accettare alcuni compromessi e lo stesso Ministro del Lavoro ed il premier Monti, pur sostenendo il credo del dialogo sociale al posto della concertazione, probabilmente non hanno potuto spingersi fin dove volevano. In ogni caso il Governo ha fatto prevalere l’esigenza di poter dare risposte positive ai mercati internazionali, ed è sembrato che alla fine tutti abbiano accettato di bere una medicina in qualche modo necessaria, senza sapere, al momento, quali potranno essere gli impatti positivi della riforma. Senza conoscere, insomma, se quello che il Ministro Fornero ha dichiarato poter essere un farmaco miracoloso, potrà curare un malato grave come il nostro mercato del lavoro.
è evidente, ce lo dimostrano anche le esperienze precedenti di riforma del mercato del lavoro, come su complesse regolamentazioni possano essere dati giudizi solo dopo un periodo relativamente lungo di applicazione nella prassi quotidiana del diritto vigente e di conseguente assestamento nel quadro normativo preesistente.
Il tutto mentre i dati sulla disoccupazione nel nostro Paese, di mese in mese continuano a crescere e le prospettive di rilancio della nostra economia sembrano ancora molto lontane.
La prospettiva della riforma aveva preso corpo allorquando la Commissione Europea, la Bce, e Fmi ci avevano chiesto, dopo la legge Treu e legge Biagi di completare queste riforme con un ragionevole scambio tra maggiore flessibilità in uscita e maggiore sicurezza per disoccupati o outsider.
LA FLUIDITà IN USCITA
Quello che si è andato materializzando è una fluidità in uscita ancora incerta, una più ampia sicurezza sociale i cui costi finiranno in massima parte per ricadere sulle imprese, già al salasso in questo momento ed una flessibilità in entrata irrigidita dallo sterile dibattito tra flessibilità buona e cattiva.
Occorre dire che gli interventi di modifica del quadro giuridico che regola i rapporti di lavoro è, da sempre, operazione non facile. In Italia più che altrove. Va pertanto dato atto al Governo di aver avuto il coraggio di affrontare una impresa tanto complessa quanto fondamentale per il rilancio del nostro Paese.
Soprattutto un dato emerge, su tutti, come elemento positivo nell’azione che il Governo ha fortemente voluto condurre. Forse perché, favorito da condizioni politico-istituzionali favorevoli esso è riuscito in un’impresa non facile: dimostrare che è possibile superare quei veti contrapposti ed alcuni tabù che, da troppo tempo, penalizzano le imprese italiane e, conseguentemente, anche i loro lavoratori nel contesto internazionale e comparato.
Eppure poteva essere fatto di più: perché anche stavolta è sembrato che il Governo abbia avuto presente una visione centralista e industrialista della regolazione dei rapporti di lavoro che non tiene in gran conto, non solo il giudizio delle parti sociali ma della stessa realtà di un mondo del lavoro che è profondamente cambiato. e che quindi non può essere disciplinato senza affrontare le reali esigenze di lavoratori e imprese.
L’ARTICOLO 18 PER LE PMI
Anche la stessa vicenda dell’art.18 che ha tenuto banco attirando l’attenzione sia dei mezzi di comunicazione che delle stesse parti al tavolo è sembrato… tanto rumore per nulla. Le grandi imprese, che già oggi rientrano nel campo di applicazione dell’articolo 18, vedranno crescere probabilmente il peso legato all’intervento dei giudici e finirà per aumentare l’incertezza in cui si trovano operatori e imprese. Non necessariamente darà la spinta alle assunzioni a tempo indeterminato che pure è – o dovrebbe essere – il filo conduttore della riforma. Per le piccole imprese, invece, che hanno assistito un po’ impotenti a questo braccio di ferro, lo scambio sull’articolo 18 è tutto a perdere: si troveranno fortemente penalizzate nella gestione flessibile della forza lavoro in entrata senza ottenere alcun vantaggio dalle modifiche normative sulla flessibilità in uscita.
Occorre dire che rispetto al disegno di legge originario presentato alla Camera, che conteneva disposizioni che riducevano drasticamente la possibilità di ricorrere ad istituti di grande importanza (tempo determinato, apprendistato, lavoro intermittente, lavoro accessorio, tirocini, etc.) introducendo oneri, contributivi ed amministrativi, a carico delle imprese, qualche piccolo passo in avanti è stato fatto.
E non è detto che l’applicazione della riforma ed il suo monitoraggio, di cui il Governo ha più volte sottolineato l’importanza, riescano a dimostrare che possa esserci bisogno di ulteriori perfezionamenti. Non legati alle esigenze di questo o quello schieramento politico ma in funzione delle reali esigenze delle imprese e dei lavoratori, soprattutto giovani e donne.
In particolare, sulla flessibilità in entrata, sono state opportunamente accolte alcune delle indicazioni e suggerimenti proposti da FIPE. Tuttavia rimangono valutazioni critiche sia per quanto riguarda l’aggravio dei costi sia per le rigidità che permangono su alcuni istituti della flessibilità in entrata e che ci auguriamo possano essere corrette con successivi e tempestivi provvedimenti.
Le misure proposte
Voucher
Se nel testo originario proposto dal Governo era prevista (novità importante e clamorosa) la esplicita esclusione dal ricorso al lavoro accessorio per qualsiasi prestazione resa per committenti imprenditori commerciali o professionisti, l’attuale ultimo periodo del novellato art. 70, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, grazie all’importante azione della FIPE, reintroduce la possibilità di ricorrere al lavoro accessorio anche ai committenti imprenditori commerciali o professionisti. Le attività lavorative occasionali accessorie possono essere svolte «a favore di ciascun singolo committente per compensi non superiori a 2.000 euro».
Lavoro intermittente
Il lavoro intermittente, esce fortemente ridimensionato per l’abrogazione di alcune causali e per l’irrigidimento burocratico che impone l’obbligo di una comunicazione amministrativa in occasione di ogni chiamata del lavoratore.
Se il Disegno di legge originario recante disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro fosse stato approvato senza modifiche, del lavoro a chiamata sarebbero rimaste ipotesi talmente residuali da renderlo di fatto inattuabile. Nel testo originario veniva abrogato, ad esempio, l’art. 40, del d.lgs. n. 276/2003, escludendo la possibilità di avviare rapporti di lavoro a chiamata con riferimento allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente nei confronti dei soggetti individuati dal decreto ministeriale 23 ottobre 2004, che a sua volta rinvia Regio Decreto 6 dicembre 1923, n. 2657. Nonostante alcune delle figure professionali ivi richiamate risalgano a tempi remoti, il provvedimento consente di ricorrere al lavoro a chiamata in alcuni settori, come quello del turismo, in cui esso è diventato strumento essenziale. Se la riforma non fosse stata emendata, le causali oggettive per l’intermittente sarebbero state drasticamente abrogate, e si sarebbe dovuto fare riferimento esclusivamente alle esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale.
Infine sono state accolte le indicazioni di FIPE, già da tempo sollecitate, riguardanti la semplificazione dei sistemi comunicazione da effettuare prima dell’inizio della prestazione lavorativa ovvero di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni del lavoratore intermittente anche mediante sms, fax o posta elettronica e con modalità semplificate individuate con apposito decreto interministeriale.
Apprendistato
Una delle principali novità in materia di apprendistato, è l’aggiunta, tra i compiti che oggi sono demandati ad accordi interconfederali e contratti collettivi, della definizione di una durata minima del contratto, non inferiore a sei mesi. È stata accolta la richiesta di Confcommercio, su sollecitazione di FIPE e delle altre Federazioni del turismo, di poter sottoscrivere contratti di apprendistato professionalizzante, anche a tempo determinato di durata inferiore a 6 mesi, per la attività in cicli stagionali tipiche del settore turismo.
Contratto a tempo determinato
Rispetto al testo iniziale del DDL di riforma del mercato del lavoro, grazie agli interventi effettuati, che hanno portato ad importanti modifiche riguardanti il contratto a tempo determinato, il nuovo testo presenta elementi di novità di seguito evidenziati:
• sono state introdotte due fattispecie alternative che consentono la stipulazione di contratti a tempo determinato o per la prima missione di un lavoratore nell’ambito di un contratto di somministrazione a tempo determinato, in assenza di ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive e non prorogabili:
a) nel caso di primo rapporto a tempo determinato, di durata non superiore a 12 mesi (inizialmente previsto il limite di 6 mesi);
b) mediante previsione nei CCNL (ovvero con delega del CCNL al II livello di contrattazione), nell’ambito di un processo organizzativo determinato dalle ragioni di cui all’art. 5, 3° comma , nel limite complessivo del 6% del totale dei lavoratori occupati nell’ambito dell’unità produttiva (previsione introdotta con emendamento);
• sono stati modificati i termini di superamento della scadenza del contratto a termine, oltre i quali scatta la trasformazione a tempo indeterminato. In particolare, la trasformazione avviene quando il rapporto di lavoro sia proseguito oltre 30 giorni (nel testo originario previsti 60 giorni) dalla scadenza, per contratti inferiori a sei mesi, ovvero sia proseguito oltre 50 giorni (nel testo originario previsti 90 giorni) dalla scadenza, per contratti superiori a sei mesi;
• sono stati modificati i termini per la successione di due contratti a termine con lo stesso lavoratore. Nello specifico il termine iniziale di 10 giorni è stato innalzato a 60, mentre quello di 20 giorni è stato innalzato a 90 rispettivamente per le ipotesi di contratto di durata fino a sei mesi e per le ipotesi di contratto a tempo determinato di durata superiore a sei mesi. Tuttavia si prevede la possibilità per i CCNL di ridurre tali periodi, rispettivamente, fino a 20 giorni e 30 giorni nei casi in cui l’assunzione a termine avvenga nell’ambito di un processo organizzativo determinato dall’avvio di una nuova attività, dal lancio di un prodotto o di un servizio innovativo, dall’implementazione di un rilevante cambiamento tecnologico, dalla fase supplementare di un significativo progetto di ricerca e sviluppo, dal rinnovo o dalla proroga di una commessa consistente (previsione introdotta con emendamento);
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